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 2016  dicembre 06 Martedì calendario

Al Senato brindisi e battute. «Non diventeremo un museo»

Non diventerà un museo, ma continuerà ad esistere. A poche ore dalla consultazione referendaria gli abitanti di Palazzo Madama si risvegliano e tirano un sospiro di sollievo. «Il Senato è più vivo che mai. Ci volevano tagliare ma noi resteremo qui», ridacchia sotto i baffi un commesso parlamentare al pian terreno dell’edificio. È un lunedì di festa e si respira un’atmosfera di allegria camminando lungo i corridoi del Senato. La notte di ieri ha costretto il personale del Senato, un esercito di 700 dipendenti, a restare incollato davanti la tv. Al primo piano un commesso parlamentare che ha attraversato tutta la Seconda repubblica mette a verbale: «Fino alle 23 ero terrorizzato. Non mi fidavo dei sondaggi. Poi è stata una festa e con mia moglie abbiamo brindato».
C’è anche chi, come una signora che lavora alla buvette, truccatissima e con la chioma bionda, si spinge oltre: «Certo che ho votato convintamente contro questa riforma. Le dirò di più: per salvare il posto di lavoro ho convinto le mie amiche a votare No». Più in là due addette alle pulizie hanno i volti distesi: «Cosa avremmo dovuto fare? Tagliare noi stessi? No, no, e ancora no a qualsiasi riforma. Per quale motivo avremmo dovuto accettare la cancellazione del Senato? Stiamo benissimo così». Nei corridoi i sorrisi si sprecano e sottovoce il refrain è sempre lo stesso: «Renzi ha esagerato. Quando è troppo, è troppo». Salendo di grado il sentiment non cambia. Gli alti dirigenti di Palazzo Madama avevano fatto gli scongiuri: «Quando venne qui a dirci che sarebbe stata l’ultima volta per il Senato tutti noi pensammo: questo fa sul serio. Peccato che il popolo ha bocciato la sua riforma. Il Senato non è un palazzo di Firenze». Poco prima di pranzo Anna Maria Bernini, vice presidente dei senatori di Fi, fresca di festeggiamenti con la delegazione azzurra, si materializza in un Salone Garibaldi quasi deserto. Bernini si rivolge a un funzionario: «Io e lei dobbiamo fare un brindisi». Risate. Poi una battuta: «Siete la casta».
I sorrisi attraversano tutto l’arco costituzionale. Anche Loredana De Petris, presidente dei senatori di Sinistra, è raggiante: «Le forzature sul testo. La spocchia di dire io vi caccio tutti. In questi due anni una istituzione come il Senato è stata umiliata. L’ultima volta prima del Consiglio europeo non ha partecipato alla discussione. Adesso, vedrete, non oserà più mettere più piede. Altrimenti rischia di essere cacciato». Infine De Petris lancia l’affondo: «Renzi è uno che non ha mai lavorato in vita sua». Più morbido il senatore Pd Federico Fornaro, bersaniano di ferro che si è sempre opposto nel merito della riforma: «Il grande vincitore di questa consultazione è Palazzo Madama che non è stato estinto». Per parafrasare Barack Obama, anche oggi il sole è sorto al Senato. Domenico Auricchio, senatore verdiniano (Ala), favorevole al testo di riforma, è fra coloro che hanno già metabolizzato il risultato: «Qual è il problema? Si andrà avanti comunque. Nella mia vita politica, prima da consigliere comunale, e poi da sindaco, ne ho viste di cotte e crude».
Antonio Razzi, senatore di Fi, esulta e pensa alle prossime elezioni politiche: «Renzi ha sbagliato carriera. La storia di Roma non si può cancellare. Se Berlusconi mi chiederà di candidarmi io ci sarò. Viva il Senato della Repubblica». Insomma, per il museo toccherà attendere la prossima riforma.