Libero, 6 dicembre 2016
La battaglia del vitalizio
È il partito senza dubbio più numeroso e, per certi versi, influente. Nessuno ne parla, capace com’è di mimetizzarsi nelle pieghe delle battaglie politiche e delle vicissitudini parlamentari. Eppure varie volte, in passato, ha decretato la fine o la sopravvivenza di un governo. Parliamo dei parlamentari alla prima legislatura. Un esercito, stavolta: 438 deputati su un totale di 630 e 191 senatori su 315. Facce nuove, in gran parte giovani. Di ogni partito. Accomunati da un destino: possono ottenere il diritto alla pensione, una volta compiuti 65 anni e solo dopo quattro anni, sei mesi e un giorno dall’inizio della legislatura.
Per questa, la XVII, la data del giro di boa è il 15 settembre 2017. Se il Parlamento si scioglie anche solo un giorno prima, bye bye pensione. E bye bye ai contributi previdenziali versati fino a lì. Trattenute che non sono da poco: si tratta dell’8,80% dell’indennità parlamentare lorda. Ossia circa mille euro al mese. Se, per qualche ragione, si vota prima, quei contributi non sono recuperabili. Non puoi cumularli a pensioni di altro genere, né riscattarli. Si capisce che raggiungere la fatidica scadenza il 15 settembre 2017 diventa un traguardo che ha una sua forza persuasiva. Se ce la fai, a 65 anni (un anno in meno fino a un limite di 60, se fai più mandati), con solo una legislatura potrai avere una pensione di 900-970 euro. Se no, zero.
Funziona così dal primo gennaio 2012, dopo le modifiche introdotte tra il 2011 e il 2012. Delibere che hanno abolito il vitalizio per introdurre il regime contributivo per i neo-eletti. Ma, appunto, con questa clausola. Come si legge nel sito della Camera, i deputati «conseguono il diritto alla pensione al compimento dei 65 anni di età e a seguito dell’esercizio del mandato parlamentare per almeno 5 anni effettivi». Per arrotondamento, i cinque anni scattano allo scadere dei quattro anni, sei mesi e un giorno. Stessa cosa vale per i senatori.
Si dà il caso, poi, che in questa legislatura i parlamentari in questa situazione siano di gran lunga la maggioranza. Sia alla Camera (438), sia al Senato (191). Se poi si guarda chi sono, si scopre un altro elemento interessante: in cima alla classifica ci sono proprio quelli che, politicamente, avrebbero più argomenti per staccare la spina: i parlamentari del M5S, per la prima volta nel Palazzo, subito seguiti dal Pd, che nel 2013 hanno rinnovato decisamente i gruppi parlamentari. Prendiamo la Camera: i deputati che il 15 settembre maturano il diritto alla pensione sono 209 del Pd, 91 grillini, 41 del Gruppo Misto, 31 di Sinistra e libertà Sinistra italiana, 15 Civici e Innovatori, 12 di Ap, 12 di Centro democratico, 12 di Forza Italia, 7 di Scelta civica, 5 della Lega e 3 di Fratelli d’Italia. Per quanto riguarda il Senato, al primo posto c’è sempre il M5S, seguito dal Gruppo Misto, dal Pd e dal gruppo Per l’Italia.
Quanto pesa l’argomento diritto alla pensione? Molto, a giudicare il recente passato. L’esempio classico che i peones fanno è la mozione di sfiducia che si votò il 14 dicembre 2010 per mandare a casa il governo Berlusconi. Il fatto di non aver ancora raggiunto i cinque anni di mandato parlamentare, influenzò il voto di molti deputati. Per loro stessa, successiva ammissione. E il governo andò avanti.
Nel caso dell’attuale legislatura, poi, bisogna tenere presente che al Senato la maggioranza si regge su pochissimi voti. Dunque, bastano pochissimi senatori interessati più alla pensione che a far cadere il governo, ed ecco che la legislatura è blindata.
Tutto questo per dire che in queste ore di incertezza sui prossimi mesi, il prosaico argomento del P-Day (Pensione Day) è taciuto, ma molto ben presente nelle conversazioni che si fanno nei corridoi. Matteo Renzi vuole votare il prima possibile, ad aprile, persino a marzo? Dovrà fare i conti, si dice, con i senatori e deputati che hanno il problema della pensione. Molti dei quali sono proprio del Pd, oltre che del M5S. E se i parlamentari del Pd non possono esporsi fino a contraddire la linea del segretario per vili motivi di denaro, potrebbero farlo i deputati o senatori della zona grigia. Quella rappresentata dal Gruppo Misto o dai tanti cespugli centristi sorti durante la legislatura. Parlamentari che magari sono finiti nel Misto perché hanno lasciato il partito con il quale erano stati eletti. E che, perciò, hanno pochissime possibilità di farsi un altro giro in Parlamento. Ragione per cui diventa ancora più urgente poter conseguire almeno il diritto alla pensione.