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 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

La metamorfosi della Ferrari

Un anno dopo, la metamorfosi sembra compiuta. La Borsa comincia a trattare Ferrari come un titolo del lusso e non più come un’azione, sia pur molto particolare, del settore automotive. Sono i fondamentali a dirlo: in base all’ultima trimestrale l’ebitda del Cavallino si attesterà a fine anno intorno a 850 milioni con una capitalizzazione intorno a 10 miliardi di euro. Il moltiplicatore è dunque superiore a 11, livello considerato dagli analisti da titolo del lusso. I moltiplicatori dell’auto sono normalmente compresi tra 4 e 6.
La metamorfosi si vede anche nella composizione del capitale. Escludendo il 10 per cento in mano a Piero Ferrari e il 24 in mano a Exor, nel rimanente 66 per cento c’è stato un ricambio significativo. Hanno lasciato presto gli «hedge found», arrivati sul titolo della Rossa nella speranza di capitalizzare su una partenza sprint, come è accaduto nell’ottobre scorso al momento dell’Ipo a Wall Street. Al loro posto sono arrivati gli investitori istituzionali, più adatti a impegnare capitali nel medio-lungo periodo.
«Non è stata una conversione semplice», racconta Massimo Vecchio, analista di Mediobanda. «La difficoltà – rivela – è stata quella di convincere gli investitori che un’automobile possa produrre gli utili e la crescita costante di una borsetta». Non perché un’industria dell’auto di lusso non possa realizzare alti profitti ma perché si ritiene che comunque l’automotive, anche nell’altissima gamma, sia un settore strutturalmente ciclico, non uno di quei titoli che possono garantire una crescita costante. Inoltre, a differenza delle tradizionali società del lusso, la Ferrari bisogno di grandi investimenti in R&D.
A dispetto degli scettici, la crescita dell’azione Ferrari nel primo anno di quotazione è stata continua. Dopo una partenza con grandi difficoltà (fino a segnare una iniziale sospensione per eccesso di ribasso) da gennaio il Cavallino ha cominciato inesorabilmente a recuperare il terreno perduto fino a raggiungere 51 euro per azione, la quotazione di partenza a Wall Street. Così il valore di 10 miliardi per Ferrari, che un anno fa aveva fatto storcere il naso a molti analisti, è ora confermato dal mercato. In occasione della quotazione secondaria a Milano, il 4 gennaio scorso, Sergio Marchionne aveva suggerito di aspettare prima di dare giudizi sull’andamento del titolo: «Oggi va sul mercato l’80 per cento della società. Ci vorrà tempo prima che la Borsa digerisca una così massiccia immissione di titoli».
Il problema è che inizialmente il 66 per cento dei titoli Ferrari non detenuti dalla famiglia o da Exor è stato distribuito ai soci Fca. Era sufficiente possedere dieci azioni della casa di Torino per averne una di Maranello. In questo modo però il titolo della Rossa era una specie benefit distribuito ai soci Fca. C’è voluto un anno prima che ciascuno di quei soci decidesse se credere nel titolo o cederlo a chi poteva attendere che ripartisse in modo costante la sua crescita. Oggi il risultato è ottenuto: «Al punto – osserva Vincenzo Longo, market strategist di Ig – che ormai il titolo Ferrari ha recuperato il livello della quotazione iniziale mentre quello Fca è ancora sotto gli 8 euro della valutazione fatta il giorno dell’Ipo». Con una conseguenza che può apparire paradossale: «Oggi – sottolinea Longo – Ferrari, producendo 8.000 automobili all’anno capitalizza più di Fca che ne vende 5 milioni».
Ma davvero in futuro Ferrari rimarrà stabilmente nel settore del lusso? Vecchio osserva che «in realtà Ferrari è certamente assimilabile al lusso ma ha molte particolarità che la rendono non omologabile al resto del listino. È come se con la quotazione fosse nato un nuovo settore, il settore Ferrari». La prospettiva, spiega Marchionne, «è che l’aumento di valore sia costante». Per il 2017 Maranello prevede un Ebidta pari a un miliardo di euro. Il valore dell’azione sarà costruito mantenendo un punto di equilibrio tra aumento delle vendite (che è sempre, per tradizione, molto al di sotto delle richieste di mercato) e aumento dei prezzi. Marchionne pensa di arrivare a vendere 10 mila auto entro il 2020. Per riuscirci a quella data dovrà realizzare molti modelli ibridi, proprio per scendere al di sotto dei livelli di inquinamento complessivo della gamma stabiliti dalle norme europee.
Come possa proseguire questo miracolo finanziario nonostante i momenti difficili della Ferrari in pista, è un vero mistero, una sorta di volo del calabrone. In realtà, osservano gli analisti, l’effetto di prestazioni negative su un marchio fortissimo come Ferrari (solo secondo, da quest’anno, alla Coca Cola) andrà misurato nell’arco di molti anni. Per il momento, a dare l’idea dell’appeal del brand di Maranello sta il fatto che continua ad essere di gran lunga davanti ai concorrenti nel merchandising. Sia quello a lato dei gran premi di Formula uno, sia quello che produce utili tutto l’anno. Per ora, insomma, il titolo cresce grazie agli ottimi risultati delle vendite su strada e alla grande forza del marchio. Nei prossimi anni si capirà se saranno possibili quei successi sulla pista che ridarebbero inevitabilmente slancio alla casa di Maranello. Per tornare a considerare un secondo posto «il primo dei perdenti», come diceva Enzo Ferrari. E correre in testa non solo nei listini di Borsa, così come accade oggi.