Corriere della Sera, 6 dicembre 2016
Alvin, il bimbo portato in Siria. «Mamma si veste da ninja»
MILANO Alvin è terrorizzato. Le bombe che cadono sempre più vicine fanno tremare le pareti dell’edifico a una quarantina di chilometri a nord-est di Aleppo. Vorrebbe tornare tra i banchi della sua scuola elementare di Cremella nella tranquilla campagna della Brianza lecchese, invece di essere costretto a sei anni ad imparare a combattere in Siria imbracciando un kalashnikov più grande di lui nel campo di addestramento per piccoli jihadisti del Califfato, dove l’ha portato la mamma che ora si veste come un «ninja», lo chiama Jusuf, lo ha fatto circoncidere e lo trascina a pregare in moschea cinque volte al giorno.
Manca una settimana alla vigilia del Natale 2014 e, anche se la famiglia arrivata dall’Albania nel 2000 è di fede mussulmana, come per tutti gli altri bambini della prima anche per Alvin sono giorni elettrizzanti. Ma la festa finisce ancor prima di cominciare. Dopo un anno passato ad indottrinarsi tra siti i internet del Califfato, la madre, Valbona Berisha, a 32 anni ha deciso di partire per la Siria portandoselo dietro e lasciando a casa a Barzago (Lecco) le altre due figlie, Mikela e Klenisa, di 11 e 10 anni, come Alvin nate in Italia, e il marito Afrimm, di 13 anni più grande. Sarà l’uomo, il giorno dopo, a denunciare la scomparsa quando ormai hanno raggiunto la Turchia con un volo da Bergamo. I carabinieri del Ros accerteranno che a pagare i biglietti era stato Mendush Selimoviq, un foreign fighter serbo poi morto in Siria. Afrimm Berisha non si dà pace, quando riesce a contattarla, la moglie gli dice di trovarsi in Siria in un posto che il giorno prima era stato bombardato. Il cellulare di Valbona viene localizzato nei pressi di Al Bab, una località non lontana dal confine con la Turchia che in quel momento fa parte del territorio Isis. Afrimm parte subito, riesce ad entrare in Siria ma viene respinto prima che possa trovare la moglie, che nel frattempo ha disattivato la funzione del cellulare che permette di individuarla. Qualche giorno dopo la raggiunge al telefono facendosi passare il figlioletto, come racconta lui stesso, intercettato, a un familiare: «Mi ha detto “ho paura perché ci sono gli aerei che lanciano le bombe... ma lei (la madre, ndr.) non ne vuole sapere, dice che tanto moriremo lo stesso!». Aggiunge di aver chiesto ad Alvin: «Vuoi venire da papà?”, lui mi ha detto “sì, ma la mamma non mi lascia” (…) “si è vestita e sembra un ninja”», gli antichi sicari giapponesi rappresentati dalle famose tartarughe dei cartoni animati, e quando dice alla mamma «andiamo da papà perché devo andare a scuola, lei non mi lascia». Così piccolo «non ce la fa più», dice Afrimm, che supplica almeno di far tornare il bambino: «Le ho detto “fai quello che vuoi ma non rovinare mio figlio”». In precedenza non ha mancato di picchiarla con regolarità, è pronto ad alzare le mani ancora: «Glielo faccio vedere io il ninja, se la becco». Anche questo, accompagnato da un’infatuazione per un miliziano con il quale ha chattato via internet e che avrebbe sposato in Siria, sarebbe alla base della fuga di Valbona che ad una cugina confidò i suoi progetti: «Ha detto che sarebbe partita per la Siria per andare ad aiutare i bisognosi in ospedale», ha testimoniato Irma Berisha.
L’orrore non ha fine per Afrimm Berisha che viene anche a sapere dalla donna che il piccolo Alvin «stava frequentando un campo di addestramento dove gli insegnavano varie tecniche corpo a corpo e ad usare le armi», si legge agli atti dell’inchiesta del pm milanese Alessandro Gobbis, coordinata dal capo dell’antiterrorismo Alberto Nobili. E allora l’uomo prova a tornare in Siria a marzo scorso con una troupe delle «Iene», vuole evitare a tutti i costi che Alvin faccia la fine del bambino di 10 anni che il padre marocchino fuggito da Bresso (Milano) ha fatto comparire in un filmato Isis dopo gli attentati di Parigi.
Quando crede di aver individuato degli intermediari che lo porteranno dal figlioletto, si rende conto che sono solo dei truffatori in cerca di denaro. Valbona è ricercata per terrorismo internazionale da un’ordinanza di custodia cautelare del gip Manuela Scudieri. Come spiega il comandate dei Ros, il generale Giuseppe Governale, la presenza dell’Arma sul territorio è stata determinante per comporre un quadro di cui fa parte anche il legame indiretto con Maria «Fatima» Sergio, l’altra f oreign fighter lecchese fuggita in Siria. Entrambe erano in contatto con il predicatore macedone Omer Bajrami sospettato di favorire il proselitismo dell’Isis.