Affari&Finanza, 5 dicembre 2016
Alessandro Benetton delfino ribelle il maglione di Ponzano era diventato stretto
La finanza nella testa, l’industria nel cuore. Come la sua 21 Investimenti: capitale e 21, i grammi dell’anima. Sportivo, colto, internazionale, bellissimo. Proprio in quest’ordine. Se c’è un aspetto che contraddistingue Alessandro Benetton è il suo approccio sportivo alla vita, che significa ad un tempo passione, agonismo e disciplina. Se sei abituato a gestire la forza del mare e del vento, (pratica surf e kitesurf) o scivolare a velocità impressionati su delle lame (è maestro di sci), ami la natura e la sua forza, ma sai che non si può cedere alla sua seduzione. Pena volare senza sapere come atterrare. Ecco perché nello sport Alessandro ha lo specchio ideale della sua attitudine alla vita. Non per caso è sposato con Deborah Compagnoni. Atleta meravigliosa, ex campionessa olimpionica e mondiale di sci alpino, una delle più grandi fuoriclasse italiane di tutti i tempi. Il suo femminile perfetto, con la quale condivide tre figli e la vita da 20 anni.
Se questa è l’indole del 52enne figlio di Luciano, va da sé che le sfide si accettano solo considerando dove si atterrerà e come. È con questo spirito che nel 2012 decide di farsi carico della ristrutturazione dell’azienda di famiglia, la United Colors. Consapevole, parole sue, di «aver fatto deliberatamente per la prima volta qualcosa che non gli conveniva». Che significava già sapere quali sarebbero state le conseguenze di questa scelta. Quando assume la guida di Benetton Group, Alessandro è cosciente che i suoi principali avversari stanno proprio nell’azionariato. E quando rompe con lo zio Gilberto e con il suo fidatissimo alter ego Gianni Mion, il Mazzarino dell’impero di Ponzano Veneto, è costretto ad aspettare l’assemblea. E quindi un anno.
Pochi lo notano, Alessandro assume la carica di presidente esecutivo del gruppo nell’aprile 2012 e se ne va a maggio 2014, ma quando racconta della sua guida in United Colors lui parla sempre di un anno, non di due. Un altro elemento che in pochi sottolineano, quando la rottura si consuma nessuno della famiglia (neppure suo padre Luciano) muove un dito. E questo a significare della superiore importanza che l’azienda di famiglia ha sempre avuto sulle dialettiche interne alla famiglia stessa.
La frattura dunque è già allora, una fenditura che negli ultimi due anni con l’arrivo al vertice di Mion, accompagnato dall’ad Marco Airoldi, si apre sempre più, diventando una vera crepa. Per la prima volta al vertice dell’azienda di maglioni non c’è un Benetton. Una svolta storica, si dice, verso la managerializzazione. Alessandro era stato allenato proprio per quel ruolo. E aveva dimostrato con il suo gruppo di essere in grado di trasformare le aziende. Lo ha fatto, per citare due casi, con Pittarello e The Space Cinemas, entrambi investimenti da cui il suo gruppo è uscito. Pittarello diventa PittaRosso, da storico retailer di calzature italiano diffuso soprattutto a Nord-Est passa da 57 a 120 punti vendita distribuiti su tutto il territorio nazionale in poco più di tre anni. Il fatturato raddoppia nello stesso periodo (arrivando a circa 240 milioni con un piano quinquennale per portarlo a 800 milioni), il margine operativo lordo è triplicato e i dipendenti sono raddoppiati rispetto al 2011.
The Space Cinema diventa leader di mercato con circa il 20% di quota, attraverso un processo di consolidamento del settore partito dall’aggregazione dei circuiti Warner e Medusa e proseguito con ulteriori tre acquisizioni. Alla fine del 2014 The Space contava 36 multiplex (rispetto ai 24 dei due circuiti inizialmente aggregati) e circa 170 milioni di euro di fatturato. Tra il 2009 e il 2013 il margine operativo lordo è triplicato e dal 2014 The Space è entrata a far parte del gruppo Vue Entertainment International, leader europeo dei cinema.
Se queste sono alcune credenziali, toccare l’azienda di famiglia era altra sfida. Più complessa, con molte più variabili. Le sue dimissioni dal consiglio del Gruppo, materializzatesi dieci giorni fa, sono uno strappo, identificano una tensione mai vista prima all’interno dell’impero colorato di Ponzano Veneto. Non se ne va lui solo, il padre Luciano non è detto che nomini qualcuno che occupi la sedia che il suo secondogenito lascia vuota. Il motivo dello scontro, è stato scritto, sono gli esuberi. È su questo punto che Alessandro, che di United Colors dal 2014 ha smesso di occuparsi (“vado ai cda solo per tenermi informato” disse qualche mese in un’intervista), ha deciso di rompere. Lui a Ponzano Veneto ci vive, a quella terra veneta è legato, non ha potuto accettare di lasciare delle persone (la sua gente) senza lavoro.
Il legame con Treviso dei Benetton va spiegato. Alessandro ha studiato al Pio X, istituto cattolico nella sua città. È stata la sua scuola, è la scuola dei suoi figli. Quando di recente l’istituto va in crisi aiuta personalmente per il reperimento dei fondi, coinvolgendo altri imprenditori locali. A Treviso, anzi a Ponzano ci vive. Il castello invisibile realizzato dal genio delle linee, della luce e della razionalità spaziale, l’archistar Tadao Ando, è stato costruito nella campagna trevigiana. Alessandro, Deborah e i loro tre figli avrebbero potuto vivere ovunque. Ma quella fortezza in acciaio e vetro non l’hanno voluta a Parigi, o a New York, ma proprio a Treviso. Alessandro Benetton ha vestito il suo cognome prima ancora di rendersi conto di chi fosse. Era un bambino quando la sua immagine in pullover colorato lo ritraeva come testimonial della casata veneta che ha letteralmente rivoluzionato il mondo della moda. E da quel cognome ha cercato una distanza sin da ragazzo, quando appena laureato fresco di un master ad Harvard (in Business Administration con relatore Michael Porter), dopo un’esperienza a Londra in uno dei tempi della finanza mondiale, Goldman Sachs, dice al padre che ha deciso di fare l’erede indipendente: quindi di non fare l’erede. Luciano, lo spirito creativo della United Colors, gli consiglia allora di trovarsi un lavoro.
Nasce così la 21 Investimenti. Un nome che stava a identificare il futuro che sarebbe venuto con il nuovo secolo. 21 è prima una holding di partecipazioni. Viene accompagnato contando su manager di rango, come Fabio Cerchiai, allora ad di Generali, oggi al vertice di Atlantia, presto alla presidenza di Edizione. E poi dalla Fininvest di Marina Berlusconi, una delle più care amiche di Alessandro insieme a John Elkann. Nel tempo 21 si trasforma in una società di private equity, una delle prime in Europa.
21 investe in medie imprese con un modello business solido portando una visione strategica, imprenditoriale e industriale per supportarle nella crescita. D’altronde se si vuol tirare una macchina a 300 all’ora, il motore è necessario averlo. Si può mettere un bravissimo pilota, sistemare l’aerodinamica, ma il cuore industriale deve esserci. Alessandro lo sa bene, di macchine che corrono ha una discreta esperienza. Dal 1988 al 1998 è stato Presidente di Benetton Formula. Gli anni della sua presidenza sono stati quelli delle grandi vittorie in Formula 1 (26 su 27 totali della scuderia), dei due titoli mondiali piloti conquistati con Michael Schumacher nel 1994 e 1995, di quello costruttori vinto nel 1995.
«Bisogna avere il coraggio ove necessario di praticare rotture per evitare che il passato, che comunque conta, ci conduca sempre a percorrere la stessa strada», aveva detto in una intervista di qualche anno fa. La coerenza non è qualcosa che gli sia mai mancata. Come la necessità di avere sempre chiaro l’obiettivo. Una delle sue citazioni preferite è di Seneca. «Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare». E il suo porto è oggi molto distante da Ponzano Veneto.