la Repubblica, 4 dicembre 2016
Pubblico o privato conti in picchiata. I salvataggi costano più di 10 miliardi
Il contatore dei soldi spesi per provare a rilanciare – finora senza successo – Alitalia si prepara a sfondare quota 10 miliardi.
La cura degli emiri non funziona, i conti sono in rosso e le casse vuote. Etihad e le banche azioniste stanno cercando di far quadrare il cerchio dell’ennesimo piano di rilancio. Si parla di tagli, di sicuro qualcuno dovrà mettere mano al portafoglio per ricostituire il capitale eroso dalle perdite. E la bolletta per (non) salvare la società è destinata a salire ancora: lo Stato ha mandato in fumo tra 1974 e oggi (amministrazione straordinaria inclusa) 7,4 miliardi. Il cerino è poi passato in mano ai privati. Ma il risultato non è cambiato. La cordata dei “Capitani coraggiosi” guidati da Intesa Sanpaolo ed Etihad non sono riusciti a raddrizzare la situazione. E in sette anni hanno perso altri 2,5 miliardi.
Alitalia, malgrado queste iniezioni di liquidità, continua a mangiar quattrini: il passivo quest’anno potrebbero arrivare a 400 milioni, più di un milione al giorno. Nel 2017, anno in cui era previsto il pareggio, il conto potrebbe essere più salato. Sono cambiati i dottori, ma il paziente sta peggio: la società perdeva circa 20 milioni al mese nell’era pubblica. Ora siamo a quota 30, in una caduta a vite che sembra non aver fine.
Le uscite per lo Stato. A scottarsi le dita su Alitalia sono stati tutti gli aspiranti salvatori. Il conto dello Stato (leggi dei contribuenti) è di gran lunga il più alto. Alla cloche dell’azienda si sono alternati l’Iri e il Tesoro senza riuscire a venire a capo dei problemi. Nel loro ruolo di azionisti – calcola l’ufficio studi Mediobanca – hanno versato alla compagnia 5,3 miliardi tra aumenti di capitale (ai valori attuali) e garanzie, solo parzialmente compensati da 2 miliardi di dividendi incassati tra 1974 e 2007, dalle imposte pagate dal vettore e dai soldi garantiti dal collocamento dei titoli. Risultato: lo Stato-Padrone ha perso in Alitalia 3,2 miliardi.
La vendita ai privati non è bastata a frenare l’emorragia per le casse pubbliche. Il motivo? Nessuno avrebbe mai preso una società nelle condizioni di Alitalia. E per riuscire a venderla alla cordata di Roberto Colaninno, il Tesoro ha deciso di ripulirne i conti, facendosi carico di debiti e ammortizzatori sociali. Il conto del passivo per lo Stato è così lievitato ancora: 1,2 miliardi se ne sono andati per garantire ai dipendenti prepensionati almeno l’80% della retribuzione finale, 700 milioni circa per la cassa integrazione, quasi un miliardo tra prestiti ponte e obbligazioni ed emissioni diventate carta straccia. La gestione commissariale ha mangiato altri 4,1 miliardi dello Stato portando a 7,4 miliardi il salasso per i contribuenti. Una cifra con cui oggi si potrebbe comprare in Borsa il 100% di Lufthansa più il 100% di Air France.
Le spese dei soci. La patata bollente è passata ora ai privati, ma la musica non è cambiata. Gli 837 milioni versati dagli imprenditori guidati da Roberto Colaninno sono finiti tutti in fumo. Così come i 323 gettati nelle casse dell’azienda da Air France, scappata a gambe levate e senza un centesimo non appena le hanno chiesto di rimettere mano al portafoglio. Le Poste, ultimo presidio pubblico nel capitale, hanno già bruciato – tanto per non perdere le tradizioni statali – altri 75 milioni. Le banche azioniste sono state costrette a convertire in azioni o ristrutturare qualcosa come 600 milioni di euro di crediti. E alla fine pure gli emiri di Etihad hanno pagato il conto. Il salasso per il socio forte del Golfo – tra capitale versato, slot e programmi fedeltà acquistati a caro prezzo – è già arrivato a quota 600 milioni. Quasi 390 per rilevare il 49% del capitale, 60 per acquistare gli slot a Londra, altri 200 per puntellare i conti comprando le Mille miglia. Senza successo, visto che in queste ore stanno cercando di capire come rimettere di nuovo mano al portafoglio senza infrangere le regole Ue. Sognando (senza troppe speranze) che il buco nero di Alitalia smetta prima o poi di inghiottire denaro.