Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

Settant’anni di José Carreras. «Mi ritiro tra due anni ma ancora non vedo eredi»

«Una vita in musica». Così il tenore catalano José Carreras si racconta dopo essersi esibito ieri con il pianista Lorenzo Bavaj al Suntory Hall di Tokyo, la più prestigiosa sala da concerti nipponica. Oggi il Maestro compie 70 anni. Un’occasione per radunare tutta la sua famiglia, che lo ha seguito fino in Giappone, e per ripensare a una carriera cinquantennale come cantante lirico, con più di 180 dischi all’attivo. «Mi reputo un uomo molto fortunato», dice commosso al telefono, «per tutto quello che la vita mi ha dato e continua a darmi sia a livello professionale che personale. Non mi scordo della malattia durissima che ho affrontato e che ho vinto, ma non posso lamentarmi di nulla. La mia carriera è stata esaltante sotto ogni aspetto, lo è anche oggi. Però ho deciso che tra due anni mi ritirerò».
Maestro Carreras, come sta festeggiando?
«Ho voluto qui con me tutti i miei cari. I miei figli, i miei nipotini, gli amici più stretti. Sono venuti tutti da Barcellona. Hanno assistito al mio recital e poi abbiamo fatto una cena insieme. Si è unito anche Lang Lang, che si è esibito al pianoforte prima del mio recital per il trentennale del Suntory Hall».
Ha un’agenda fitta addirittura fino al 20 dicembre 2017 quando canterà nel concerto di Natale al Grande Teatro del Festival a Salisburgo. I 70 anni non le pesano?
«Guardi, penso che cantare ancora alla mia età sia un enorme privilegio, ma non bisogna esagerare. Sono molto contento di poter salire oggi sul palco, di continuare a trasmettere emozioni al pubblico: per me questo è il regalo più prezioso. Sono però consapevole che tutto finisce. Mi sono dato ancora due anni, poi lascerò il palco per occuparmi solo della mia Fondazione contro la leucemia e degli istituti di ricerca e del centro clinico che finanziamo».
Quali sono state le tappe decisive della sua carriera?
«Tutti i debutti. Quello all’Opera di Vienna, al Metropolitan Opera House di New York, al Royal Opera House a Covent Garden, al Teatro dell’Opera Bavarese di Monaco. Anche se logicamente il più importante fu quello alla Scala nel 1975 per Un ballo in maschera di Verdi. La regia di Zeffirelli, al mio fianco Montserrat Caballé nel ruolo di Amelia. Quanti ricordi».
Ne avrà molti altri.
«L’incontro con il Maestro von Karajan al Festival di Salisburgo fu per me cruciale: sotto la sua direzione ho interpretato le opere più grandiose, l’Aida, il Don Carlo, la Tosca, la Carmen».
Di chi sente maggiormente la mancanza tra i grandi artisti con cui ha collaborato?
«Ho forte nostalgia di Abbado e Pavarotti. Erano veramente due campioni straordinari. Ho avuto la possibilità di averli come colleghi e come amici. Claudio è stato uno dei direttori più geniali della storia della lirica e del mondo sinfonico. Il prossimo mese saranno vent’anni da quando nel ’97 uscì la registrazione del Simon Boccanegra di Verdi al Teatro alla Scala, sotto la sua direzione. Il tempo passa, ma mi resta questo senso di pienezza, di soddisfazione, per quanto abbiamo fatto. Luciano era un tenore dal talento smisurato e un amico del cuore con cui parlavo di tutto, dai piccoli problemi quotidiani alle cose importanti della vita come il calcio (ride, ndr)».
L’esperienza dei “Tre Tenori” resta irripetibile?
«Vedo in giro degli eredi, come noi lo siamo stati dei tenori precedenti, ma nessuno mostra di avere lo spirito che serve per ripetere quanto ho fatto con Luciano e Plácido. Ci sono tenori che potrebbero riuscirci, ma non si tratta solo di bravura, è una questione di determinazione, di predisposizione ad affrontare eventi di grandi dimensioni come i concerti che portammo negli stadi. Mettere su un palco tre bravi tenori che cantano insieme non è sufficiente. Forse oggi si pensa che sia una cosa già fatta, già vista, e che non sia opportuno riproporla».
Domingo la chiama per gli auguri?
«Si ricorda sempre. La sua signora è nata lo stesso giorno, non ha scuse».
C’è un duetto che è rimasto nel cassetto dei desideri?
«Quello con Maria Callas, non è stato possibile, ma sarebbe stato meraviglioso».
Il suo concerto più importante di sempre?
«A Barcellona all’Arco di Trionfo, nel 1988, dopo un anno di ospedale. Ero di nuovo sul palco, ero vivo».