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 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

«L’oro di Rio ritrovato tra i rifiuti. Ma la mia vera vittoria è il mutuo». Intervista a Daniele Garozzo

Nessuno può rubarti fino in fondo ciò che ti sei conquistato con sudore, impegno e fatica. Nemmeno se il furto più assurdo, quello della medaglia olimpica, lo hai subito davvero. Daniele Garozzo, 24 anni, di Acireale, (Ct), è stato il primo a far assaporare all’Italia d’agosto, divisa tra solleone e tifo olimpico, il sapore dell’oro. Il suo nel fioretto individuale è stato il primo oro azzurro di Rio. Salvo poi quella medaglia non trovarsela più nello zaino dopo un viaggio in treno, da Roma a Torino.
«Mi ero appisolato in viaggio. Lo zaino lo tenevo accanto, poggiato per terra. All’arrivo non mi accorgo di nulla. Ma a casa, apro lo zaino e lo “scrigno” di legno con dentro la medaglia era sparito».
Cosa ha provato?
«Un tonfo al cuore e anche molta rabbia. Ero incredulo. Ho pensato che mi fosse scivolata fuori dallo zaino. Sono corso indietro in stazione, ma nulla. Ho fatto rintracciare il capotreno, la ditta delle pulizie. Nulla. A poco a poco mi sono convinto che si era trattato di un furto e ho sporto denuncia. Ma ero rassegnato al fatto che non l’avrei mai più vista. Nello stesso tempo mi rendevo conto che nessuno avrebbe mai potuto togliermi davvero il significato di quel trofeo».
Un valore più simbolico che reale?
«Il coronamento di una carriera, di anni di sacrifici importanti».
Ma un simbolo così importante perché lo si porta in uno zaino?
«Ero stato invitato a una serata organizzata dalla Juventus, era il giorno di Juventus Napoli, stavo andando allo Stadio di Torino. Mi avevano chiesto loro di portarla. Non viaggio con l’oro olimpico tra i bagagli».
Poi il colpo di scena...
«Quando ormai avevo perso le speranze, e avevo anche raccontato l’episodio su Facebook, mi contatta sui social una donna che non conosco. “Ho trovato io la tua medaglia, nella spazzatura vicino a casa mia, non lontano dalla stazione di Torino”. Non ci credo, le chiedo di mandarmi una foto. E non ho dubbi. Sul bordo c’è scritto la disciplina in cui l’ho vinto: fioretto individuale maschile. E così l’ho ritrovata».
D’altronde non è facile smerciare un oggetto del genere.
«Credo che chi l’ha presa abbia pensato, vedendo la custodia particolare, che contenesse un orologio o un gioiello. Poi si è ritrovato questa patata bollente, per di più forse si è accorto che dopo il mio annuncio rischiava di montare un caso, e l’ha buttata via».
Storia a lieto fine, che insegna che cosa?
«Che i trofei più importanti sono quelli che ti porti dentro. Il vero valore glielo dai solo tu».
Beh però qualche soldino vincere un oro olimpico lo porta?
«Il Coni premia l’oro con 150 mila euro, tassati all’aliquota massima, il 43%. Ma non mi lamento, mi restano giusti giusti poco più di 80 mila euro per estinguere il mutuo della casa qui a Frascati dove sono venuto a vivere per allenarmi nel gruppo sportivo della Guardia di Finanza».
A 24 anni campione olimpico e proprietario di casa. Due traguardi non da poco per un giovane.
«Ne ho un altro a cui tengo moltissimo: i miei studi in Medicina qui all’Università di Tor Vergata. Sono al terzo anno, non ho ancora deciso se orientarmi su Ortopedia o su Psicologia. L’unica certezza per ora è che viaggio sempre con i libri dietro: in gara, durante gli spostamenti, ai raduni. Non sono in regola con gli esami ma ce la metto tutto».
La psicologia ha molto a che vedere con il suo sport: la stoccata vincente richiede lucidità più che forza?
«Per me è stato decisivo il supporto della mia psicologa sportiva. Sono ansioso, sento molto la pressione. Sono diventato più consapevole di me stesso e capace di controllare le emozioni».
Il che le serve anche per un esame all’Università?
«Nello sport come nella vita non bisogna darsi mai per vinti. Io questo l’ho imparato sulla mia pelle. Mille volte sono uscito sconfitto da assalti contro avversari che pensavo di avere in pugno. Ma gli sbagli, le sconfitte fanno parte di un percorso che può diventare d’eccellenza. E si chiama carriera».
Tanta saggezza a 24 anni come si acquisisce?
«Per esempio andando via da casa a 18, in un’altra città. Solo per inseguire un obiettivo, una passione. E sin da prima, grazie al sostegno dei miei genitori che mi accompagnavano da Acireale a Modica dove ho iniziato ad allenarmi. Due ore di macchina al giorni. Perché vedevano che io per primo ho sempre creduto di aver un potenziale da esprimere».
Strada simile ma diversa da suo fratello maggiore, Enrico, che nella scherma ha preferito un’altra arma rispetto al fioretto, la spada. Uguali ma contrari?
«Ciascuno ha scelto individualmente. Ma se avessimo tirato con la stessa arma sarebbe stato difficile spendersi così totalmente come facciamo l’uno per l’altro».
La scherma azzurra si è nutrita di grandi rivalità. Specie al femminile: Trillini contro Vezzali, Vezzali, contro Di Francisca, Di Francisca contro Errigo...
«Le ragazze secondo me la soffrono più di noi questa cosa, per carattere sono più competitive tra di loro, meno solidali, e le grandi rivalità, è vero, tra loro non si limitano alla sfida in pedana. Noi maschi lasciamo di più fuori la vita dallo sport».
Però ci fu il caso inquietante e mai del tutto chiarito di Baldini squalificato per doping alla vigilia di Pechino 2008 e il grande sospetto che la colpa fosse di una bottiglietta d’acqua manomessa, forse da un compagno di squadra. I sospetti caddero su Cassarà, che grazie alla squalifica poté partire al posto di Baldini...
«L’unica certezza in questa storia, accertata anche da una inchiesta è che Baldo non si era dopato e gli è stata rubata una grossa opportunità. La storia ricorda molto quella di Alez Schwazer che quest’anno è stato escluso ingiustamente da un’Olimpiade, con accuse montate per incastrarlo».
Storie così però, sempre più frequenti fanno male allo sport. Anche nella scherma ormai?
«Alle Olimpiadi diffidavo di molti avversari. Anche perché era emerso che nel dossier sugli atleti russi dopati ci fossero anche quattro schermidori. Solo che poi il Cio ha lasciato che ogni Federazione decidesse in autonomia. E la Federazione russa ha deciso di... insabbiare. Il tutto mentre a noi invece Prima dei Giochi hanno mandato non so più quanti controlli a sorpresa nell’ora al giorno di reperibilità che devi fornire. Su di me e su altri ci sono stati controlli forsennati, che ho accettato di buon grado, per poi avere contro qualche dopato».
E la rinuncia di Roma alla candidatura per Roma 2024?
«Tra Coni e Cio si parlava di un miliardo e mezzo di investimenti per infrastrutture che poi sarebbero rimaste alla città. Non mi puoi dire che non li vuoi quei soldi perché vanno a finire in cattive mani perché significa che dovrai tirarli fuori tu, Città di Roma prima o poi e comunque il rischio resta...».
In definitiva Rio 2016 le ha cambiato la vita?
«Molto meno di quello che la gente possa pensare. Personalmente è un traguardo importante. Una volta vinto un oro ti resta solo da pensare come... vincerne un altro, che è molto più difficile. Dal punto di vista economico molto meno di quel che la gente immagina. Faccio un esempio: io non ho sponsor, se non per la divisa tecnica, se pensi che a un qualsiasi calciatore è facile che vengano pagate pure le mutande».