Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

«Ero con Trump e porterò in Italia i suoi segreti». Intervista a Paola Tommasi

Quando tutti tifavano Clinton, lei sosteneva Trump. Quando tutti
 inseguivano il sogno del
primo presi
dente ameri
cano donna, 
lei si chiedeva se quello 
di Hillary fosse il modello di donna migliore («Ha accettato troppi compromessi») e, quando i sondaggi davano avanti i democratici, lei scuoteva la testa e insisteva: vinceranno i repubblicani.
Ma Paola Tommasi ha fatto di più: mentre tutti leggevano della campagna elettorale americana sui giornali, lei l’ha vissuta da protagonista. È stata l’unica italiana della squadra di Trump. C’era da aspettarselo da una come lei che, partita da Melendugno, in provincia di Lecce, dopo la laurea in Economia alla Bocconi, si mette in testa di lavorare con Renato Brunetta e insiste con la pazienza di un metronomo. «L’ho inseguito per cinque anni. Ma lui mi diceva che dovevo prima fare la gavetta. Non ho mai mollato e nell’ottobre del 2011 sono entrata nel suo gabinetto». Un esordio di fuoco. «Il mio primo incarico è stato occuparmi della parte fiscale della lettera da mandare alla Commissione europea dopo l’estate dello spread alle stelle». Poco dopo il governo cade, Paola entra nel team di Brunetta alla Camera dei Deputati. Si occupa di disoccupazione, di Europa, di inflazione, di Pil... «Un lavoro bellissimo, ma avevo bisogno di capire la dimensione internazionale della politica. Ci penso, mi chiedo che cosa possa esserci di più stimolante di quello che già faccio e così mi viene in mente di seguire la campagna elettorale di Trump. All’inizio nessuno crede che possa farcela...».
Invece ci riesce. Come fa?
«Smanetto sul web. Trovo la mail del responsabile della campagna elettorale di Trump in California, Tim Clark, e gli scrivo. Appena capisco che c’è uno spiraglio, parto subito».
Ma perché voleva andare?
«Per vedere come si organizza la campagna elettorale più grande del mondo e per fare un confronto con l’Italia».
Ed è tornata con un buon bottino?
«Sì. Mi rendo subito conto della prima differenza. In America quella del consigliere politico è una professione. È un consulente che il politico sceglie e che paga profumatamente e questo rende libero un leader di sbarazzarsene quando non gli piace più. Invece da noi ci sono logiche di interesse, di favoritismi e, quindi, non c’è la stessa libertà».
Poi cos’altro l’ha colpita?
«Il coinvolgimento delle persone. I cittadini avevano dei ruoli nell’organizzazione degli eventi. Anche compiti minori, come la sistemazione delle sedie, e che però danno alle persone la sensazione di essere parte di quell’avvenimento. Mi ha colpito moltissimo questo aspetto: la partecipazione attiva della gente».
Cosa le piace di più del programma di Trump?
«Trump vuole portare l’aliquota al 15% per tutte le imprese e invogliare chi ha delocalizzato a produrre e creare occupazione negli Stati Uniti. Per quanto riguarda invece le persone fisiche, vuole semplificare e portare da sette a tre gli scaglioni fiscali. Ha previsto l’abolizione della tassa di successione. A leggerli bene sono molti dei punti presenti anche nel primo programma elettorale di Forza Italia. Non potevo che ritrovarmici. Degli italiani questa cosa l’ha capita solo Briatore che, infatti, è l’unico di cui in America mi chiedono...».
E di Trump come persona cosa le è piaciuto?
«La sua capacità di ascolto attivo. Non si sottraeva al contatto diretto con la gente, anzi. In tutta la campagna elettorale chiedeva alle persone cosa volessero, era attento alle esigenze dei cittadini in modo maniacale. E gli elettori si esprimevano con tutti i mezzi: mail, chat, lettere...Trump curava personalmente i dettagli: dalla luce, al carattere più o meno grosso dei gobbi fino ai microfoni. E poi mi ha colpito l’uso delle colonne sonore. Quando lui arrivava in aereo, ad esempio, partiva la musica di “Air Force One” e l’atmosfera si surriscaldava come se stesse atterrando una navicella spaziale. I suoi comizi si concludevano sempre con “Nessun dorma”».
Trump è stato massacrato dai giornali durante la campagna elettorale.
«Ma lui ha una straordinaria capacità di trarre beneficio dalle critiche».
Quando ha capito che ce l’avrebbe fatta?
«L’ho capito subito, quando vedevo tanta gente ai rally (i comizi si chiamano così, ndr). A questo proposito sarò sempre grata al direttore de Il Tempo, Gian Marco Chiocci, che si è fidato di me e mi ha fatto fare l’inviata del suo giornale».
Ha sentito la squadra di Trump dopo l’elezione?
«Certo».
Andrà alla cerimonia di insediamento di gennaio?
«Conto di andarci anche prima».
Ambisce a un ruolo nella squadra di Trump?
«Mi piace più Montecitorio che la Casa Bianca».
Non ci credo...
«L’Italia è il Paese che amo...».
Ma lei vuole candidarsi in Italia?
«Sono contenta dal mio lavoro e entusiasta dell’esperienza che ho fatto. Siccome delle elezioni non si conosce ancora neanche la data, è un po’ presto per parlarne».
Berlusconi è fuori dai giochi?
«Veramente a me sembra quello che dà le carte. Nel centrodestra e non solo. Quando l’ho visto nel video nel giardino di Palazzo Grazioli che lanciava le Fiat 500 per il No al referendum ho pensato: “Ecco l’astro nascente della politica italiana”. E anche Trump, rispetto a lui, mi è sembrato già vecchio».
Mi sembra esagerato...
«Sì, Berlusconi non teme rivali al mondo».
Lei lavora con Brunetta. Cosa ha detto del falso profilo della moglie Titti scoperto da Libero?
«Non parlo di queste cose, mi occupo di altro».
Ma chi è il leader del centrodestra?
«Diamo tempo al tempo, quando sarà il momento si troverà»
Che presidente sarà Trump?
«Sarà un ottimo presidente. Gli Stati Uniti torneranno a crescere del 5-6% e a essere la locomotiva del mondo. Farà bene particolarmente all’Europa. Gli effetti si sono cominciati a vedere già prima dell’insediamento. Come conseguenza del dollaro forte si è svalutato l’euro e sta ricominciando a salire l’inflazione. Quello di cui l’Europa dice di avere bisogno da sette anni, quelli della crisi, e che i leader europei non sono riusciti a fare. È dovuto arrivare Trump. Che sta anche riportando finalmente l’economia reale e la politica al centro, piuttosto che le banche centrali. Quindi le istituzioni democratiche piuttosto che gli organismi tecnici».
Come giudica la ripresa dei rapporti con Putin?
«Il piano di Trump è stato chiaro fin dall’inizio: riprendere i rapporti con la Federazione Russa per sconfiggere il nemico comune: l’Isis. Nel nostro Parlamento sono state presentate diverse mozioni per la cancellazione delle sanzioni alla Federazione Russa, anch’esse con l’obiettivo di coinvolgere Putin nella lotta contro il terrorismo. Una grande coalizione internazionale sotto l’egida dell’Onu per estirpare l’Isis. Su questo non si può negare l’identità di vedute con Trump».
E i rapporti con l’Europa?
«Durante la campagna elettorale e anche subito dopo Trump ha espresso le sue posizioni, molto chiare, sui rapporti con la Federazione Russa, con Cuba, l’Iran, la Cina, Israele, l’Arabia Saudita, e ha anche già incontrato il presidente giapponese, mentre di Europa ha parlato molto poco. Eppure l’Europa sarà la prima beneficiaria delle politiche di Trump. L’Unione europea è a un bivio: o ha un guizzo e reagisce, oppure finirà schiacciata. Anche dalla polemica sulla Nato può venire fuori qualcosa di buono e l’Europa potrebbe dimostrare di non aver più bisogno della protezione degli Usa e di riuscire a camminare sulle proprie gambe, con una politica di difesa e un esercito comune europeo. Proprio su Libero qualche tempo fa lanciava una proposta in questo senso l’ex ministro Frattini».
La sua politica sulle armi, la convince?
«È quella che mi piace di meno. Fosse stato per questo punto non l’avrei votato. Ma ne ho discusso con loro e la cultura degli americani è talmente diversa dalla nostra su questo tema che non capivano le mie perplessità. Né io le loro posizioni».
Il suo governo è stato subito definito “dei ricchi”. Come lo giudica?
«Trump sta scegliendo per ogni settore i numeri uno, anche se magari in passato lo hanno criticato. Non porta rancore, vuole il meglio per l’America. L’importante è che realizzino il suo programma».
Quando andrà negli Usa prima di Natale e poi a gennaio per l’insediamento gli parlerà?
«Parlerò con lui, con i suoi familiari e con i suoi collaboratori. E i consulenti economici. È fondamentale per me confrontarmi con persone di così grande spessore. Ma sempre con l’obiettivo di trarre spunti e farmi venire idee da esportare in Italia».