La Gazzetta dello Sport, 4 dicembre 2016
Avremo modo, nei prossimi giorni, di parlare così a lungo del referendum e delle sue conseguenze, che oggi sarà meglio soffermarsi su un fatto solo apparentemente piccolo, e cioè l’aumento di un centesimo del prezzo della benzina, primo passo di un’ascesa che potrebbe arrivare fino a un rincaro di dieci centesimi

Avremo modo, nei prossimi giorni, di parlare così a lungo del referendum e delle sue conseguenze, che oggi sarà meglio soffermarsi su un fatto solo apparentemente piccolo, e cioè l’aumento di un centesimo del prezzo della benzina, primo passo di un’ascesa che potrebbe arrivare fino a un rincaro di dieci centesimi.
• Già, come mai?
Si prevede un aumento del prezzo del petrolio perché i paesi dell’Opec hanno deciso un taglio della produzione di un milione e duecentomila barili al giorno.
• Ricominciamo daccapo. Opec?
«Organization of the Petroleum Exporting Countries», cioè Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. È un’alleanza intergovernativa tra 14 nazioni, dominata da Arabia Saudita, Iraq e Iran e che comprende anche Kuwait, Venezuela, Algeria, Angola, Emirati, Libia, Nigeria, Qatar, Gabon, Indonesia, Ecuador. Questi quattordici si mettono d’accordo sulla quantità di petrolio da produrre, e in questo modo controllano i prezzi. Se decidono di produrre molto, il prezzo scende. Se decidono di produrre poco, il prezzo sale. In questi ultimi due anni, i sauditi hanno preteso che la produzione di tutti quanti salisse quasi senza limiti per render difficile la vita agli americani dello shale oil, quel petrolio che si ricava dalle scisti bituminose mediante un processo di frantumazione che si chiama fracking. Siccome a un prezzo inferiore ai 60 dollari le aziende dello shale ci rimettevano, gli arabi e dietro a loro gli altri dell’Opec hanno inondato il mercato di greggio, il cui prezzo è precipitato fino a 30 dollari e solo negli ultimi mesi è risalito verso quota 50. Questa gigantesca operazione di dumping (vendo rimettendoci) ha messo in ginocchio alla fine gli stessi arabi, le cui riserve di valuta erano enormi, ma non infinite. Quindi i paesi produttori dell’Opec alla fine si sono decisi, dal prossimo 1° gennaio, a «tagliare la produzione», come si dice, in modo da riportare su il prezzo. Tra giovedì e venerdì le quotazioni del greggio sono di nuovo risalite verso quota 54-55, le aziende del petrolio hanno registrato rialzi spettacolari in borsa, gli analisti prevedono il petrolio a 60 dollari entro il 2017 e addirittra a 70 dollari verso la metà del 2018.
• Dovrei essere contento del fatto che il prezzo dell’energia aumenterà. Vale a dire: tutto aumenterà, perché ognuno di noi - azienda o persona fisica - ha bisogno di energia. Dovrei essere contento?
Capisco. Lo scenario, in effetti, è quello di un ritorno dell’inflazione, e quindi di un aumento dei tassi di interesse ben al di là di quello che deciderà la Yellen tra pochi giorni. Siccome il petrolio si commercia in dollari, è facile prevedere un aumento di valore del dollaro e un indebolimento dell’euro. A Draghi, se le cose andranno secondo queste previsioni, verrà meno la giustificazione per comprare a man bassa titoli del debito pubblico, operazione che la Banca centrale compie proprio per resistere alla deflazione incombente.
• Mi sembra un mix di notizie buone e di notizie cattive.
L’inflazione indotta dall’aumento del costo dell’energia viene in genere definita «cattiva». L’inflazione buona, quella che ci vorrebbe secondo gli analisti, è quella provocata dai consumi, dal denaro che circola, insomma dall’aumento della domanda. È positivo l’indebolimento dell’euro, che aiuterà le esportazioni dal Continente. Ma che dire dei tassi in ascesa, col nostro debito pubblico? Tutto questo se le cose andranno davvero come prevedono gli esperti.
• Le cose potrebbero non andare come prevedono gli esperti?
Ancora un paio di anni fa gli esperti prevedevano il petrolio a 200 dollari... In ogni caso: l’Opec rappresenta il 78% di tutta la produzione, ma solo un terzo dei paesi che esportano greggio. Come si comporteranno gli altri due terzi? Capeggiano questi altri due terzi i russi, che si sono detti disponibili a tagliare 300 mila barili. Pochi secondo l’Opec, che vorrebbero un taglio di almeno 600 mila barili (la querelle sarà risolta in un vertice a Doha). C’è poi il fatto che i paesi Opec hanno sempre imbrogliato e imbrogliano: si impegnano a limitare la produzione, e poi producono senza dirlo più del consentito. C’è poi la questione dello shale
americano che, salendo il prezzo, ricomincerebbe a essere estratto e venduto.
• Già, se è vero che bastava un prezzo di 60 dollari al barile...
Secondo alcuni, durante il periodo di deflazione petrolifera, che è costato in America centinaia di bancarotte e 350 mila licenziamenti, i produttori di shale
si sono attrezzati per produrre greggio a 29 dollari al barile. Da maggio, infatti, sono state riattivate negli Stati Uniti 158 trivelle. Se è vero, bisognerà che l’Opec, i russi e gli altri, per tenere il prezzo intorno ai 60-70 dollari, si mettano d’accordo con Trump.