Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2016
Lo spread Usa-Germania nuova bussola dei mercati
Non c’è solo lo spread BTp-Bund. È vero che per un italiano la parola “spread” richiama subito alla differenza di rendimento tra il titolo decennale italiano e quello tedesco. Ma gli investitori in realtà osservano con molta più attenzione un altro spread, quello tra Stati Uniti e Germania, che misura la differenza di quanto rendono i Treasury degli Stati Uniti e quanto rende il rispettivo Bund tedesco. Questo parametro allarga il confronto a Stati Uniti ed Eurozona (rappresentati dalla Germania che resta nonostante tutto il Paese rifugio), alle politiche monetarie e fiscali delle due aree e alle diverse aspettative di inflazione e di crescita. Quindi non è solo un parametro finanziario, ma anche geo-politico.
Lo spread Usa-Germania è tenuto in grande considerazione nelle stanze dei trader perché è in grado di influenzare direttamente l’andamento del cambio euro/dollaro che, a sua volta, è in grado di impattare sulla quotazione del prezzo del petrolio e delle altre materie prime, sull’andamento dei mercati azionari. Sarebbe forse un po’ esagerato dire che tutto si muove a cascata dallo spread Usa-Germania, ma non sbaglia chi sostiene che è uno dei parametri guida oggi per capire dove e se c’è trippa per gatti.
Nelle ultime sedute questo parametro è tornato sotto i riflettori, perché dopo la vittoria di Trump si è impennato raggiungendo ieri il massimo storico a quota 213 punti (il decennale Usa paga il 2,4% mentre quello tedesco lo 0,27%). Come mai? la vittoria di Trump ha mutato profondamente una serie di aspettative precedenti da parte degli investitori. Trump ha infatti promesso politiche fiscali più espansive in base alle quali gli investitori ora si aspettano una maggiore crescita dell’inflazione negli Usa che nell’area euro. Un elemento non da poco per i titoli di Stato che, in linea generale, incorporano nei rendimenti tre elementi: le aspettative di inflazione, il fattore cambio (per la parte di domanda che arriva dall’estero) e il premio al rischio (il livello di solvibilità attribuito al debitore).
Quanto all’inflazione, la vittoria di Trump ha fatto balzare le attese. I future sull’inflazione Usa a 5 anni sono passati dal 2,1% al 2,5%, un livello più alto rispetto alle aspettative inflazionistiche dell’area euro (1,5% a 5 anni). Questo perché le possibilità che a breve giro l’Ue avvii una politica fiscale espansiva al pari di quella che vorrebbe introdurre Trump (deficit/Pil medio annuo del 6%) sono ridotte al lumicino (l’Ue si muove secondo il principio del pareggio di bilancio a tendere e del deficit/Pil che non può eccedere il 3%).
Di conseguenza gli operatori stanno vendendo i titoli di Stato statunitensi allo scopo di far salire i rendimenti (il decennale è balzato al 2,4% e il biennale all’1,13%). Semplicemente per far sì che i tassi dei titoli americani possano incorporare le nuove aspettative di un’inflazione più alta.
«Il differenziale tra Treasury e Bund – indica Johnny Debuysscher, cio fixed income di Petercam – è molto importante e lo osserviamo con attenzione. È un indicatore dello stato di salute dell’economia degli Stati Uniti rispetto a quella europea e oggi segnala che le attese sulla crescita degli Stati Uniti sono più positive rispetto a quelle dell’area euro».
Quanto al fattore cambio, il recente scatto del dollaro (+4% nei confronti dell’euro dalla vittoria di Trump e +7% da maggio) ha sicuramente contribuito ad amplificare lo spread Usa-Germania (storicamente questo spread ha una correlazione diretta con il cambio dollaro/euro, sale quando si rafforza il dollaro e scende quando si rafforza l’euro). E poi c’è la componente del premio al rischio. Gli investitori chiedono in sostanza un rendimento ponderato alla rischiosità dello stesso. Ma dato che Usa e Germania sono due Paesi a Tripla A (a parte il giudizio di Standard &Poor’s sugli Usa) e quindi considerati sostanzialmente di pari affidabilità nel rimborsare il debito, è anche logico supporre che i mercati non potranno spingere più di tanto il differenziale di rendimento (e quindi il premio al rischio) tra i due Paesi oltre i livelli attuali. In sostanza, a parità di premio al rischio, differenti aspettative di inflazione ed effetto-cambio paiono più che sufficienti per incorporare un divario intorno ai 200 punti base. Ecco perché arrivati a questo punto molti analisti si aspettano che lo spread Usa-Germania si prenda una pausa. E per farlo ci sono solo due modi: o i tassi dei Bund dovranno salire un po’ rispetto all’attuale 0,27%, o i tassi Usa dovranno scendere un po’. Delle due l’una. Come sempre, i mercati cercheranno un nuovo equilibrio. Che però, per definizione, sarà instabile.