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 2016  dicembre 01 Giovedì calendario

L’ultima sigaretta. Il futuro di Big tobacco: pronti a lasciare le bionde

LONDRA UN MONDO senza sigarette. È la visione del futuro prossimo venturo. E a formularla, paradossalmente, è la più grande multinazionale di sigarette del pianeta. Philip Morris, gigante del tabacco, si impegna a lavorare «con i governi della Terra per mettere gradualmente fuori commercio le sigarette». Non con l’intenzione di chiudere bottega, rinunciando a un business da 80 miliardi di dollari l’anno, bensì per rimpiazzare le sigarette con un “sostituto”, che si fuma lo stesso ma produce meno danni alla salute. Una nuova versione delle e-cigarette che circolano già da qualche anno, con in più un messaggio morale, o di marketing, che per l’economia capitalista è praticamente la stessa cosa: chi fino a oggi ha fatto consapevolmente del male, di colpo si pente e promette di smettere. Quasi una conversione sulla via di Damasco.
È André Calantzopoulos, amministratore delegato Philip Morris International, la holding svizzera creata otto anni fa come costola della Philip Morris americana, ad annunciare la svolta alla Bbc. «Sappiamo che le sigarette causano danni e l’unica reazione corretta per un’azienda è trovare e commercializzare prodotti meno dannosi», hanno spiegato. Il prodotto meno dannoso, già presente in Italia e ora lanciato nel Regno Unito, si chiama Iqos: una sigaretta che riscalda tabacco, invece di bruciarlo, da infilare dentro una specie di bustina e da conservare in un “pacchetto” che somiglia a un telefonino. Secondo la Philip Morris elimina il 90 per cento delle tossine dannose del tabacco e l’effetto, nei test preliminari, sarebbe addirittura paragonabile a “smettere di fumare”. Inoltre produce meno fumo, non lascia addosso cattivo odore e convince un alto numero di fumatori, fino al 70 per cento in un esperimento in Giappone, ad abbandonare le sigarette tradizionali. Mentre le e-cigarette di varia forma, prodotte dalla concorrenza, riescono a strappare alle normali sigarette solo il 20 per cento o meno degli adulti.
La casa madre delle Marlboro ha speso 3 miliardi di dollari per il nuovo prodotto che ha preso forma in Italia, nello stabilimento di Zola Predosa (Bologna). Ma non è la sola a investire in questo campo. La sua diretta rivale, British American Tobacco, fa altrettanto e si appresta a lanciare prodotti innovativi. Come altre aziende più piccole. Un fenomeno che sembra diretta conseguenza della maggiore consapevolezza dei danni del fumo attivo e passivo, dei divieti di fumare nei luoghi pubblici, delle campagne contro le sigarette. L’ultima delle quali è arrivata proprio ieri, con una sentenza dell’Alta Corte di Londra che ha confermato la decisione di obbligare i produttori a confezionarle in pacchetti bianchi tutti uguali, come accade in Australia, senza segni distintivi del brand. A opporsi, per ironia della sorte, le grandi compagnie del fumo: Philip Morris in testa. «Non siamo stati noi a inventare le sigarette – si giustifica l’amministratore delegato Calantzopoulos – e sono i consumatori che le vogliono. Ma sappiamo di vendere un prodotto che dà dipendenza e fa male. Adesso abbiamo un’alternativa e faremo tutto quello che possiamo per convincere la gente ad accettarla. Verrà il momento in cui potremo intraprendere, insieme ai governi, la graduale messa fuori commercio delle sigarette. Spero succeda presto». Non tutti si fidano della conversione della Philip Morris e delle altre multinazionali. «Occorrono severi controlli ammonisce Deborah Arnott, presidente di Action on Smoking – ricordiamoci che la Philip Morris è un’azienda di tabacco e fa i suoi profitti vendendo sigarette. Secondo le ultime stime nel ventunesimo secolo il fumo ucciderà 1 miliardo di persone, in maggioranza nei paesi poveri. Se la Philip Morris vuole la fine del fumo deve smettere di promuoverlo, in particolare tra i giovani».