La Stampa, 1 dicembre 2016
Il piano italiano per salvare le nuove schiave
Contrastare il traffico delle donne nigeriane costrette alla prostituzione in Italia, per salvare loro, e insieme sperimentare un modello di intervento finalizzato ad affrontare l’emergenza delle migrazioni nei Paesi d’origine. È l’iniziativa a cui sta lavorando da mesi il governo di Roma, che porterà a risultati operativi concreti entro la fine dell’anno.
La Nigeria è il primo Paese per sbarchi di immigrati irregolari in Italia, con 22.237 persone nel 2015 e 12.000 nel primo semestre del 2016, che costituiscono il 21% del totale.
L’Eritrea è al secondo posto col 12%, seguita da Guinea, Costa d’Avorio e Gambia col 7%. Il dramma nel dramma consiste nel fatto che secondo i dati dell’Oim, il 20% degli arrivi dalla Nigeria sono donne, cioè una percentuale decisamente superiore al 12% registrato in media dalle altre nazioni. Nei primi otto mesi del 2016 sono sbarcate nel nostro Paese 6.300 nigeriane, e secondo l’ufficio dell’Onu per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, 9 su 10 di queste donne che giungono illegalmente in Europa provengono dall’Edo, uno Stato nel Sud della Nigeria la cui capitale, Benin City, è nota per essere al centro dei traffici di prostituzione.
Il contrasto. La Naptip, cioè l’agenzia locale incaricata di combattere il traffico di esseri umani, sostiene che «il 98% delle vittime salvate dallo sfruttamento sessuale viene dall’Edo». Ovvio quindi dedurre che l’intenso traffico di donne nigeriane verso l’Italia ha come scopo principale la prostituzione.
Per cercare di affrontare questo problema, Roma ha deciso di andare alla sua radice.
Gli incontri ufficiali. Dopo la visita in Nigeria del premier Renzi a febbraio scorso, ad agosto il ministro degli Esteri Gentiloni e il sottosegretario all’Interno Manzione sono andati nel Paese, per discutere i possibili rimedi. I colloqui hanno avuto un esito positivo, che secondo fonti a conoscenza del dossier si è focalizzato in particolare su tre punti: siglare un’intesa per la collaborazione con la polizia italiana; inviare su base permanente due funzionari del ministero degli Interni di Abuja a Roma, per facilitare l’identificazione dei migranti illegali; avviare il progetto per la costituzione di un’anagrafe civile in Nigeria. I primi passi operativi sono attesi entro la fine dell’anno, mentre nelle prossime settimane alcuni esponenti del governo di Abuja saranno in Italia per avviare una collaborazione più stretta con le nostre autorità, fra cui la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, allo scopo di contrastare il racket della prostituzione, e le altre minacce alla sicurezza nazionale che vengono da questi traffici.
Un primo passo. L’iniziativa concordata con la Nigeria, però, è solo il primo passo per lo sviluppo di un modello, che poi si potrebbe applicare ad altri Paesi coinvolti nell’emergenza delle migrazioni illegali. In particolare Niger, Senegal, Mali ed Etiopia, che insieme ad Abuja sono i membri prioritari del Migration Compact. Il Niger, ad esempio, è «l’autostrada nel deserto» da cui passa il 90% dei migranti diretti in Libia, per poi sbarcare in Italia. La Farnesina ha avviato negoziati promettenti anche con questo Paese, sulla scia di quanto è avvenuto con la Nigeria, ma anche la Commissione Europea è coinvolta.
Gli aiuti dell’Unione. Bruxelles infatti ha partecipato con l’Italia ad una recente missione in tre di questi Paesi, e ha deciso di stanziare 500 milioni di euro per aiutarli ad affrontare il problema delle migrazioni. Questo investimento della Ue, a cui si stanno già sommando impegni diretti dei singoli Stati come la stessa Italia, ha un doppio scopo: primo, fornire ai Paesi gli strumenti e i mezzi, dalle jeep ai droni, per controllare il traffico; secondo, dare aiuti per sostituire l’economia sommersa legata al fenomeno delle migrazioni – da chi fornisce i trasporti a chi vende il cibo – con attività legali e sostenibili nel lungo periodo. I finanziamenti, però, saranno legati ai risultati, andando cioè ai governi che potranno dimostrare una riduzione nei numeri dei flussi. Naturalmente stiamo parlando di un’emergenza epocale, in certe regioni connessa anche al terrorismo, che ha proporzioni molto difficili da gestire. Non c’è dubbio però che una soluzione duratura sta solo nei Paesi d’origine, ed è qui che l’Italia e la Ue stanno cominciando ad operare nel concreto.