Corriere della Sera, 1 dicembre 2016
«La Russia è pronta a fare la sua parte per un nuovo disgelo con gli Stati Uniti». Intervista a Sergej Lavrov
«Noi siamo pronti a percorrere la nostra parte di cammino per riportare i rapporti tra la Russia e gli Stati Uniti in una direzione stabile. Partiamo dal presupposto che nel mondo contemporaneo la tutela della stabilità strategica e della sicurezza e la soluzione efficace dei problemi chiave della modernità dipendano molto dai nostri due Paesi».
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov arriva oggi in Italia, per partecipare al Med2016, il forum sul Mediterraneo organizzato dalla Farnesina e dall’Ispi che si apre questo pomeriggio a Roma. In margine ai lavori, Lavrov avrà anche colloqui bilaterali con il capo della nostra diplomazia, Paolo Gentiloni. Alla vigilia del suo viaggio, il ministro russo ha concesso un’intervista esclusiva al nostro giornale. La versione integrale si può leggere su Corriere.it.
È vero che avete dato una mano a Donald Trump nella campagna elettorale, come vi accusano i democratici americani?
«Sono stati i cittadini americani ad “aiutare” Donald Trump a diventare presidente con il voto dell’8 novembre. Noi non abbiamo mai cercato di influenzare la campagna elettorale poiché pensiamo che si tratti di un affare interno degli Stati Uniti. Se qualcuno ha provato a interferire, quelli sono gli alleati degli americani. Andatevi a rileggere quello che hanno detto e scritto di Trump molti leader europei prima del voto. Quanto alle favole sugli “hacker russi” e alle altre accuse rivolteci, sono venute a noia. È sintomatico che gli autori di tali insinuazioni, che alla vigilia del voto hanno istigato le paranoie russofobe negli Usa, ora si siano chiusi nel più completo mutismo. Nessuna delle annunciate “prove” di ingerenza nel processo elettorale è mai stata presentata né alla comunità americana né a quella mondiale».
L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti apre la strada ad un nuovo dialogo e a nuovi rapporti tra Mosca e Washington?
«Abbiamo fiducia che la nuova Amministrazione non voglia ripetere gli errori commessi da quella uscente, che ha volutamente distrutto le relazioni russo-americane. Naturalmente abbiamo accolto positivamente la propensione alla cooperazione tra i nostri due Paesi dimostrata da Trump durante la campagna elettorale. Per parte nostra, siamo sempre stati disponibili a un onesto dialogo pragmatico con Washington su tutte le questioni dell’agenda bilaterale e globale, sulla base del rispetto, della parità, della considerazione dei reciproci interessi e della non ingerenza negli affari interni. Speriamo che la nascente squadra di politica estera del nuovo presidente faccia passi concreti in questa direzione e che la collaborazione sia costruttiva. Ci rendiamo conto che ripristinare la cooperazione a tutto campo tra Russia e Usa è un obiettivo complesso. E che per superare le distruttive conseguenze della politica antirussa dell’Amministrazione Obama saranno necessari sforzi seri. Ma, ripeto, noi siamo pronti a fare la nostra parte».
Quali sono gli obiettivi della Russia in Siria?
«Fin dall’inizio della crisi, la Russia ha sempre sostenuto e continua a sostenere una soluzione politico-diplomatica attraverso l’avvio di un dialogo inclusivo interno alla Siria».
Però continuate a partecipare alle azioni militari.
«Noi commisuriamo tutte le nostre azioni al diritto internazionale. Durante le operazioni delle forze aerospaziali russe in Siria, condotte dietro richiesta ufficiale del governo legittimo di un paese membro dell’Onu, siamo riusciti a sferrare un duro colpo al terrorismo che si è profondamente radicato nel Paese anche grazie ai massicci rinforzi giunti dall’estero. Noi comunque siamo sempre stati convinti che non sia possibile sciogliere il nodo siriano solo per via militare. Il nostro obiettivo principale è quello di fare in modo che i siriani abbiano di nuovo una prospettiva, la speranza di un futuro migliore in uno Stato libero e laico, dove tutti i gruppi etnici e confessionali della popolazione possano vivere in pace e armonia. I tentativi di imporre un’agenda estranea ai siriani hanno già provocato centinaia di migliaia di vittime, milioni di profughi e fatto tornare indietro il Paese di anni. Per risolvere tutti questi problemi, i siriani in autonomia, senza ingerenze esterne, devono mettersi d’accordo sulla forma dello Stato, la sua struttura politico-amministrativa e successivamente, con un percorso democratico, decidere chi governerà il Paese. Ma prima di tutto è necessario garantire pace e sicurezza».
Il presidente Putin ha detto più volte che la Russia non ha alcuna intenzione aggressiva verso i Paesi del fronte Est della Nato. Perché allora continuate a rafforzarvi in quell’area?
«Oggi assistiamo al più imponente incremento del potenziale militare dalla fine della “Guerra fredda”, nel cosiddetto “fianco orientale”, al fine di esercitare una pressione politico-militare sul nostro Paese. Ai confini russi si svolgono esercitazioni dei Paesi del blocco che hanno spesso carattere palesemente provocatorio. Con il pretesto della fantomatica “minaccia da Est”, nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale vengono dislocate truppe americane e mezzi militari pesanti, mentre compaiono nuovi elementi della struttura di comando dell’Alleanza. Tutte queste operazioni sono state approvate in luglio dal vertice della Nato a Varsavia. Sempre più netta si fa la sensazione che gli Usa e la Nato continuino scientemente a innalzare il livello della tensione. La Russia ha quindi la necessità di adeguarsi ed è costretta a prendere misure appropriate per rafforzare la propria capacità di difesa e la sicurezza nazionale. Siamo disponibili al dialogo e alla collaborazione con la Nato, ma esclusivamente su un piano di parità, com’è scritto nei documenti costitutivi del Consiglio Russia-Nato».
In Ucraina gli accordi di Minsk non vengono applicati. Di chi è la colpa?
«Tutti dichiarano di voler attuare le intese di Minsk, ma la parte ucraina non ha nessuna fretta di agire nella logica degli accordi siglati; la Russia è interessata a risolvere questo conflitto a ridosso dei propri confini più di chiunque altro».
E gli armamenti russi nelle zone orientali dell’Ucraina?
«Le affermazioni sulla presenza di armi pesanti russe nel sud-est dell’Ucraina di cui si chiede il ritiro sono del tutto fantascientifiche. E gli stessi osservatori dell’Osce nei loro rapporti dal terreno non ne fanno cenno».
L’Italia ha sempre sostenuto la necessità di tenere aperto il dialogo con la Russia, ma allo stesso tempo applica con rigore le sanzioni europee contro Mosca. Che effetti ha questo atteggiamento sui rapporti bilaterali fra i due Paesi?
«Le sanzioni e le misure russe di risposta hanno avuto un impatto negativo. La situazione rimane complessa e tutti e due i Paesi sono seriamente preoccupati. Un indicatore evidente è la forte riduzione dello scambio commerciale, che l’anno scorso ha registrato una flessione del 36,2% scendendo a 30,6 miliardi di dollari e che nei primi nove mesi dell’anno corrente è calato del 41,2%, passando a 14,2 miliardi di dollari. Secondo dati della vostra Sace, le perdite dirette per l’economia italiana ammontano a 2,5-3 miliardi di dollari. L’Italia oggi è il sesto partner commerciale della Russia, mentre per un lungo periodo è stata il quarto. È significativo e deve far riflettere il fatto che il quinto posto sia ora occupato dagli Usa. Washington, promotrice di gran parte delle norme antirusse, non ne sopporta i costi. Registriamo che gli ambienti politici, economici e sociali italiani esprimono sempre più attivamente la propria insoddisfazione per le sanzioni e sostengono un ritorno alla crescita delle relazioni bilaterali. Sappiamo che gli umori a favore dello sblocco dei rapporti economico-commerciali con la Russia sono molto diffusi anche nelle regioni italiane. Noi speriamo che Roma voglia costruire i suoi rapporti con Mosca a partire in primo luogo dai propri interessi».