La Gazzetta dello Sport, 1 dicembre 2016
Ci sono parole, o espressioni, che sembrerebbe impossibile accostare. Per esempio, il nome proprio “Banca Etruria” e la frase “assoluzione perché il fatto non sussiste” oppure “perché il fatto non è reato”

Ci sono parole, o espressioni, che sembrerebbe impossibile accostare. Per esempio, il nome proprio “Banca Etruria” e la frase “assoluzione perché il fatto non sussiste” oppure “perché il fatto non è reato”...
• Invece li hanno assolti ed è tutto il giorno che giro per casa imprecando, hanno mandato in rovina dodicimila persone, fatto fallire la banca, distribuito soldi agli amici...
Calma. Prima di tutto: o i giudici sono bravi e credibili sempre oppure non sono bravi e credibili mai. Non è che possiamo lodarli quando le sentenze ci piacciono ed esecrarli quando le sentenze non ci persuadono. In secondo luogo: quelli di Banca Etruria non sono affatto stati assolti dalle due accuse principali, la truffa e la bancarotta. Il processo in questione, con tutti gli imputati mandati a casa perché o il fatto non sussiste oppure non è reato, riguardava tutt’altro. E cioè: hanno i vertici di Banca Etruria mescolato le carte in modo tale che la Consob e la Banca d’Italia non potessero capire lo stato reale dell’istituto e quello che stava combinando?
• Il giudice ha detto no?
Si tratta di una giudice. Si chiama Annamaria Loprete. Dalle foto ha un’aria giovane. A maggio fece arrabbiare l’accusa perché non ammise come parti civili più di duecento soggetti, azionisti, associazioni di consumatori, sindacati. Ammise solo la Banca d’Italia.
• Sa che non ho mai capito bene che cos’è la parte civile?
In un processo penale, lo Stato è interessato a comminare una pena, se si accerta che è stato commesso un reato. Non è invece chiamato a stabilire i risarcimenti per tutti coloro che dal reato avessero subito un danno economico. Costoro, per ottenere il risarcimento, devono «costituirsi parte civile», che è come se all’interno del processo penale si aprisse un sotto-processo di natura civile. I duecento e passa richiedenti di maggio erano sicuri che i vertici di Banca Etruria avessero commesso un reato e li avessero danneggiati economicamente. La giudice Loprete rispose di no e li lasciò fuori. Tranne Banca d’Italia, che aveva chiesto un risarcimento di 320 mila euro e che, a questo punto, non lo otterrà.
• Sentiamo la sentenza della giudice Loprete.
Gli imputati erano tre: Giuseppe Fornasari, che fu presidente del consiglio d’amministrazione dal 2011 al 2014; Luca Bronchi, ex direttore generale; Davide Canestri, che è direttore centrale di Banca Etruria ancora oggi. Gli accusatori, cioè il procuratore Roberto Rossi e il pubblico ministero Julia Maggiore, certi che i tre avessero mescolato le carte, avevano chiesto due anni e otto mesi per Fornasari e Bronchi, e due anni per Canestri. Un punto del giudizio riguardava la vendita della società Palazzo della Fonte, all’interno della quale Banca Etruria aveva sistemato la gran parte delle sue proprietà immobiliari. Acquistò questa Palazzo della Fonte un consorzio di imprese che per comprare ottenne dalla stessa Banca Etruria un prestito di 10,2 milioni di euro. Procedura lecita? Non era questo il punto, ma: Banca Etruria fornì a Banca d’Italia e Consob tutti gli elementi necessari a farsi un’idea dell’operazione? La giudice Loprete risponde: «Il fatto non sussiste», cioè Banca Etruria comunicò correttamente alle due istituzioni quello che c’era da comunicare. Ricordo che la Consob è l’organo di controllo sull’attività delle società quotate in Borsa e che la Banca d’Italia e la sua vigilanza badano invece, tra l’altro, a che le banche operino in modo da non mettere in pericolo la loro stabilità. Un secondo punto del giudizio riguardava i crediti dubbi, cioè soldi prestati a clienti che non restituivano. L’accusa sosteneva che i vertici dell’Etruria avevano classificato questi crediti come «incagliati», cioè si trattava di soldi che si potevano recuperare. I pubblici ministeri sostenevano invece che questi crediti andavano definiti come «deteriorati», e quindi recuperabili, forse, ma solo in parte e quindi con perdite importanti da mettere a bilancio. La giudice Loprete ha sentenziato che «il fatto non costituisce reato».
• Era il primo grado? Ricorreranno?
Il procuratore capo Roberto Rossi ha detto: «Siamo sorpresi, non ci aspettavamo l’assoluzione. Attendiamo di leggere le motivazioni per poi subito dopo proporre appello. Voglio però specificare che questa sentenza non c’entra niente con le inchieste per bancarotta e truffa, non ha alcun riflesso sulle altre indagini che riguardano i danni subiti dagli obbligazionisti e dai risparmiatori, inchieste sulle quali stiamo alacremente lavorando». Aggiungo la seguente riflessione: se la giudice Loprete ha ragione, e Banca d’Italia e Consob sono stati perfettamente informati, non saranno proprio loro - cioè Banca d’Italia e Consob - da portare in giudizio, dato che hanno lasciato correre, e lasciando correre hanno contribuito a rovinare dodicimila risparmiatori?