Libero, 30 novembre 2016
«Viaggio nella bellezza guidato da Baudelaire». Intervista a Giuseppe Montesano
Lettori selvaggi (Giunti, pp. 1.920, euro 50) di Giuseppe Montesano è uno Zibaldone impressionante, quasi duemila pagine di un personalissimo viaggio nella storia della letteratura e dell’arte che spazia dai «misteriosi artisti della Preistoria» fino a Bob Dylan e Marina Abramovic. Incontriamo saggi più corposi, vedi alla voce Catullo, Shakespeare, Goethe, Nietzsche... o brevi fiammate come quelle dedicate a Tasso, El Greco, Francis Scott Fitzgerald... È un’opera ambiziosa per far riscoprire la lettura al nostro tempo troppo rapido e “analfabeta” nei confronti del sentire, come ricorda Montesano in apertura del suo itinerario: «Leggere vuol dire evocare apparizioni che ci mostrano tutte le vite che potremmo avere, e tutti i mondi che ci sono dentro il mondo...».
Il volume verrà presentato oggi a Milano alle 18.30 presso Mondadori Megastore (piazza Duomo 1). Con l’autore dialogheranno Antonio Franchini, Toni Servillo e Pietro Cheli.
Quando è iniziata la sua passione per la lettura?
«Intorno ai 10 anni. Tutto iniziò con I tre moschettieri, leggere per me significava entrare in una realtà ancora più vera. Appena finivo i compiti mi tuffavo in questo libro, accendevo la lampada e in quel momento si illuminava un altro mondo, da cui dipendevo come se fosse una droga... Da allora ho sempre cercato di rivivere quell’emozione. Verso i 14 anni ci fu l’incontro con lo Straniero di Camus, poi con Rimbaud e Poe. Erano tutti libri presenti nella biblioteca di mio padre, che non era molto vasta, ma era molto accurata».
I grandi scrittori che avrebbe voluto conoscere?
«Ho sempre avuto il rimpianto di non essere andato a cercare Beckett quando era ancora vivo. E poi Montale, anche se allora ero un ragazzo e non credo che mi avrebbe ricevuto. Erano due miti, totalmente opposti, ma, come sappiamo, non siamo noi a scegliere le passioni: sono loro che prendono noi».
Cosa cerca nella letteratura?
«Presenze vive, veri luoghi di energia come nella magia. Mi piace ricordare il mio incontro con Guerra e pace ai tempi degli studi universitari. Fui letteralmente trasportato da quel libro e lo affrontai in quattro giorni leggendo di continuo fino alle 4 del mattino. Andavo a lezione per forza, ma era come se fossi “impermeabilizzato” rispetto al resto del mondo. Avevo la sensazione di avere la febbre per l’entusiasmo e lo sconvolgimento, c’era anche qualcosa di inquietante perché venivo portato dove non ero mai stato: questo è uno dei segreti della lettura».
Perché Tolstoj è così grande?
«Guerra e pace è uno dei romanzi più moderni che esistano, anzi non è un romanzo, ma sono circa dieci romanzi intrecciati tra loro. E troppo spesso viene letto come se fosse semplicemente una bella storia... quasi un bel film...».
Sintetizziamo all’estremo il suo libro: tre Autori da salvare a tutti i costi?
«Mi fa fare esattamente quello che non volevo fare... in primo luogo direi Baudelaire, che è stata la guida di tutto il viaggio, anzi la guida dei miei ultimi venti anni, è stata proprio un’ossessione, a lui ho dedicato Il ribelle in guanti rosa (Mondadori). Poi direi Petronio e tutti i poeti latini. E poi Goethe, Dostoevskij e Rimbaud...».
Mi ha colpito il suo accostamento tra Houellebecq e David Foster Wallace. Recentemente sono state pubblicate tutte le poesie del francese che non sono certo memorabili...
«Infatti sono foglietti di appunti poetici e non sono minimamente all’altezza dei suoi più importanti libri in prosa. Mi sembra che Houellebecq sia finito in una sorta di narcisismo, che voglia stupire e basta, un atteggiamento che non è mai interessante e oggi meno che mai. All’inizio della sua scrittura, invece, ha affrontato dei nodi aggrovigliati e coperti da ipocrisia e lo ha fatto da scrittore dostoevskiano. Il primo che affronta è la solitudine e le contraddizioni in cui ci aggiriamo. Per questo l’ho accostato a Wallace, non perché si assomiglino nella scrittura, ma perché entrambi denunciano alcuni mali del nostro tempo. Wallace descrive “il sistema mediatico integrato”, che va ben oltre i media tradizionali, è il cuore del contemporaneo e lo ha fatto a tal punto da esserne infestato. Houellebecq racconta la scissione dell’uomo di oggi che vuole ritrovare il suo essere originario e che nello stesso tempo vuole adeguarsi completamente alla contemporaneità. Sia Wallace sia Houellebecq hanno individuato i luoghi dolenti del nostro tempo. Sono però finiti in una terra di nessuno, ma è un punto di merito perché hanno tentato qualcosa di impossibile».
In questo periodo si parla molto di Leopardi, anche grazie al nuovo libro di Alessadro D’Avenia. Cosa pensa di questo ritorno d’amore per il poeta dell’Infinito?
«Ne sono molto contento, Leopardi è un classico, anche se io non amo questo termine per tutte le incrostazioni che comporta: invece di essere una benedizione è diventata una sorta di lapide cimiteriale. Leopardi è irriducibile a qualsiasi interpretazione univoca, è sempre energetico e capace di metterti in discussione».
Si dice che le serie tv sono le grandi narrazioni di oggi, lei cosa guarda?
«Vedo molte serie tv perché soffro d’insonnia e quindi non è un gran merito. Non credo siano le grandi narrazioni del nostro tempo, anche se è bello lasciarsi catturare da questo mondo. Mi piacciono di più le commedie, per esempio ho amato Big Bang Theory, un gioco sulla meraviglia del nulla, e le serie tipo Law and Order».
Quali letture consiglia ai suoi studenti?
Veramente non consiglio mai nulla, comincio a raccontare. Se affronto un filosofo cerco di allargare il discorso uscendo dalla gabbia delle cose da fare. Cerco di sconfinare, se parlo di un pittore, racconto anche cosa facevano gli scrittori in quel momento. Sono un “abusivo”...».