la Repubblica, 30 novembre 2016
L’amaca di Michele Serra
LA PUBBLICAZIONE dei messaggi d’odio contro la presidente Boldrini ha permesso di appurare che i cosiddetti hater (gli odiatori) sono quasi sempre persone in condizioni di svantaggio sociale. Con poca cultura e poco reddito. Soggetti deboli, insomma; che, come tutti i deboli, sarebbero bisognosi di soccorso, di istruzione, di inclusione, e non lo dico per banale solidarismo ma per mera logica di utilitarismo sociale: più educazione uguale meno paura uguale meno aggressività.
Il problema, però, è soprattutto un altro. Ed è un problema inedito come tutto o quasi ciò che riguarda un mondo nuovo come il web. Il problema è che veicolare l’odio, le calunnie e le menzogne (insieme a un sacco di cose buone e utili, naturalmente) è diventato un colossale business globale, in grado – e non è un dettaglio irrilevante – di influenzare gli umori pubblici e perfino gli esiti elettorali in misura rilevante: il volantino sta al web come la fionda sta alla bomba atomica. Saranno anche dispensatori di servizi e non editori, i giganti del web, ma resta il fatto che dal brulicante traffico possono drenare utili che nella vecchia industria fordista non erano nemmeno immaginabili. E dunque chiedere a loro, prima di tutto, di investire risorse e lavoro nella bonifica dei contenuti non è affatto “censura”: è prevenzione di crimini, per giunta di crimini dai quali i gestori dei social traggono utili; è tutela di vittime indifese (vedi il bullismo); ed è controllo della qualità di un prodotto di evidente valore sociale.