Il Messaggero, 29 novembre 2016
Il picco della fuga di capitali. Uscite in aumento nel 2016
ROMA L’ultimatum di Donald Trump a Cuba è la nuova variabile sullo scacchiere mondiale dove Jean Claude Juncker si è apertamente schierato con il partito del Sì al referendum italiano. Sale la tensione per l’incertezza del risultato referendario e i 90 miliardi di attività finanziarie italiane già liquidati dagli investitori esteri da inizio anno potrebbero salire ancora in parallelo alla tensione sui rendimenti del btp. Il deflusso degli investimenti esteri è iniziato da settembre e, secondo documenti riservati delle Autorità monetarie consultati dal Messaggero, negli ultimi giorni sarebbe aumentato.
Ieri lo spread è tornato a superare quota 190 e la forbice con i bonos della Spagna che è il paese con la classe di rischio più vicina all’Italia, era di 50 punti così come si allarga il range di Target2, che è lo sbilancio dei saldi di Bankitalia verso le altre banche centrali europee di oltre 300 miliardi, il livello più elevato anche rispetto al periodo della crisi acuta del debito (2011): all’epoca picchi furono raggiunti nel primo semestre 2012, attorno a 270 miliardi, comunque meno di oggi. Questo termometro rappresenta una cartina al tornasole della fuga degli investitori italiani verso l’estero con uno spostamento a favore del risparmio gestito.
SCARTO NETTO DELLO SPREAD
Ci sono due motori dietro la fuoriuscita di capitali. Il primo deriva dal cambiamento delle abitudini di risparmio delle famiglie italiane con riduzione del possesso di obbligazioni e acquisto di fondi comuni. In genere il portafoglio di fondi comuni è più diversificato e questo processo ha portato dal 2014 all’acquisto di attività estere. Nel corso del 2016 si è passati dai 14 miliardi di maggio ai 3 miliardi di agosto. Il secondo fattore è legato all’atteggiamento di investitori esteri che vendono più di quanto comprano: il picco delle vendite è stato raggiunto il mese scorso con 25 miliardi.
La pressione sugli spread comunque non è causata solo dal referendum dove c’è da considerare uno scarto netto fisiologico di 20 punti base impermeabile alle tensioni attuali. Sulla pressione anche la tendenza globale al rialzo dei tassi influisce con effetti più pesanti sui paesi molto indebitati. Dalle elezione Usa a oggi c’è stato un aumento dei tassi sulle curve governative: già questo solo fattore dovrebbe causare l’aumento degli spread.
Non va dimenticato, poi, che non è ancora chiara la decisione della Bce sull’estensione del programma Pspp (acquisto bond corporate). Se il programma non verrà esteso, verrebbe meno la rete di protezione sui titoli di stato: questa incertezza alimenta la tensione sugli spread. C’è una componente di aspettativa di inflazione, il mercato comincia a pensare che il ciclo di ribasso del costo della vita sia terminato e quindi va ad accentuare il rialzo dei tassi globali.
TITOLI IN PORTAFOGLIO
Il referendum e la crisi di governo ha fatto rispuntare sulla stampa internazionale l’allarme sul debito alto, la sua sostenibilità, i problemi delle banche legati agli npl, facendo da catalizzatore nella semina dei dubbi sulla stabilità del sistema. Due agenzie – Fitch e Dbrs – hanno messo sotto osservazione l’Italia. La prima può essere ignorata avendo i mercati già scontato la tripla B+. L’altra ha assegnato il livello A: questo singolo rating mantiene i margini di garanzia quando si partecipa alle aste Bce analoghi a quelli applicate a Francia e Germania. Se l’agenzia canadese, la quarta società di rating del mondo, declassasse l’Italia, il Paese passerebbe a una categoria inferiore e le garanzie verrebbero svalutate di più: una banca che dovesse chiedere prestiti a Francoforte dovrebbe avere in bilancio più titoli stanziabili.
La Bce si riunirà l’8 dicembre. L’annuncio di una estensione a settembre 2017 per esempio di 80 miliardi sarebbe un potenziamento del programma che alleggerirebbe le tensioni sugli spread. I titoli di stato in portafoglio degli investitori si ridurrebbero: 192 miliardi.