la Repubblica, 29 novembre 2016
Un milanese in Perù sulle tracce della coca
NELLA NOTTE TRA venerdì 30 e sabato 31 ottobre 1863, a Carampa, in Perù, c’era una temperatura minima di 6°. Le mosche erano così tante da produrre un incessante ronzio. A scriverlo sul suo taccuino è un esploratore italiano, Antonio Raimondi. In quei giorni annota anche che l’erba ragna è utile contro i reumatismi, che dopo un morso di serpente va applicata la pianta di Baccharis e che la pianta di coca può essere utilizzata come unità di misura. «È noto che la maggior parte degli indios peruviani mastica foglie di coca – scrive Antonio Raimondi – che, stimolando il sistema nervoso, li rende capaci di sopportare grandi fatiche fisiche. Questa eccitazione dura all’incirca 35/40 minuti, che corrispondono più o meno a tre chilometri. A questa distanza si dà il nome di cocada». Di chilometri, in venti anni di spedizioni attraverso ogni regione del Perù, ne percorre 45.000. Durante il tragitto colleziona piante, semi, fossili, minerali, insetti, teschi, addirittura una mummia, e conoscenze. A cavallo, su una canoa, a piedi, a dorso di un mulo, si porta dietro una tenda e una borsa di strumenti per misurare ogni cosa. Ha con sé una pistola che usa però solo per la caccia, dopo aver combattuto durante le Cinque giornate di Milano professa la non-violenza e cerca di star lontano anche dalla vita politica. Utilizza due tipi di taccuini, su un primo appunta il percorso geografico e le misurazioni barometriche, su un altro scrive di botanica, di archeologia e di antropologia. In tutto, centonovantacinque quaderni che diventano il sapere di una’intera nazione, all’epoca ancora sconosciuta. È la scoperta del Perù.
«Da noi non c’è posto che non abbia una piazza, una strada, una scuola o un monumento a lui dedicato – racconta Luis Felipe Villacorta Ostolaza, il direttore del museo Raimondi di Lima, in Italia per la mostra organizzata in collaborazione con il Mudec di Milano Le avventure di un esploratore – addirittura c’è una regione che prende il suo nome. Il popolo lo chiamava El sabio naturalista».
Il saggio riconosceva al mondo indigeno un’altrettanta saggezza, una conoscenza delle risorse naturali, soprattutto delle piante medicinali. Il suo lavoro, anche tramite una metodologia empirica, è stato quello di porre tutto ciò all’attenzione della scienza ufficiale. «È stato un traduttore – spiega ancora il direttore del museo Raimondi di Lima – un intermediario che deteneva tutto il risorgimento scientifico. Ha condotto test di gravidanza analizzando la saliva e ha studiato i sintomi e le cause del mal di montagna, scoprendo come la geografia influiva sullo stato di salute dell’uomo». Per i peruviani, è un peruviano. Tra le figure da colorare nei libri per bambini c’è la sua immagine. Di padre pasticciere e madre bustaia, Antonio Raimondi nasce a Milano il 19 settembre 1824. In Perù ci arriva ancor prima che in nave, con la testa. Un giorno al Giardino Botanico di Brera assiste al taglio di un cactus peruviano. «Si alzava come un mostruoso candelabro fino al tetto – racconta in uno dei suoi diari – la mutilazione di quel patriarca dei cactus, che era una delle piante da me predilette, mi cagionò una vaga oppressione, come se fosse stato un essere animato o sensibile, e quella strana circostanza fece nascere in me la prima simpatia per il Perù». Giunge al porto di Callao il 28 luglio del 1850, proprio nel giorno della festa nazionale. Non tornerà più in Italia. All’università di Lima ottiene la cattedra di Scienze Naturali per la Medicina e dopo i primi viaggi intrapresi a sue spese, e poi per conto dell’università, riceve un mandato ufficiale del Governo. Il suo progetto personale diventa così un programma statale.