la Repubblica, 29 novembre 2016
Opec, l’intesa si allontana il barile verso i 30 dollari
ROMA Due anni di guerra dei prezzi stanno per fare la vittima più inaspettata: l’Opec. Se, domani a Vienna, quella che una volta era la superpotenza degli sceicchi non riesce a mettere nero su bianco un accordo sul contenimento della produzione, promesso già da due mesi, la credibilità del cartello dei produttori cadrà a zero.
In queste ore si affastellano incontri e conference call, ma tutto è ancora per aria. Senza un accordo, il prezzo del barile è destinato a crollare, anche fino a 30 dollari, un dramma per i paesi produttori e una buona notizia a metà per i paesi consumatori: aumenta il potere d’acquisto, ma si ispessisce l’ombra della deflazione. Un accordo fragile rischia, invece, di accrescere la volatilità dei mercati.
La situazione è semplice. Solo al largo delle coste europee ci sono una quindicina di superpetroliere da 600 mila barili alla fonda, perché non c’è più posto per scaricare il greggio a terra. Il mondo nuota nel petrolio e i produttori stanno tutti continuando a estrarre dai pozzi a livelli record. I tecnici calcolano che ci sia un eccesso di produzione di 2 milioni di barili al giorno. A settembre, i grandi registi dell’Opec, i sauditi, avevano raggiunto un accordo di principio per azzerare questo surplus. I paesi dell’Opec avrebbero tagliato la produzione fino a 1,1 milioni di barili, quelli fuori dall’Opec (in particolare la Russia) altri 600 mila. Il problema è nato quando si è trattato di precisare chi taglia quanto. Mentre Iran e Iraq si dibattevano fra guerre e sanzioni, negli ultimi due anni, i sauditi aumentavano la loro quota di mercato di quasi 2 milioni di barili al giorno. Adesso, Teheran e Bagdad non vogliono dare per acquisiti questi clienti conquistati da Riad. Sarebbero anche disposti a tagliare la produzione, ma dal livello che dichiarano loro, non da quello che indicano i tecnici dell’Opec. Il risultato è un pasticcio: se è vero che Teheran produce, come dice, 4,2 milioni di barili, taglia (come dovrebbe dire l’accordo) del 5 per cento e scende a 4 milioni potrebbe produrre più di quanto l’Opec dice stia producendo adesso, 3,9 milioni. Ma se scende a 3,7, come gli chiedono, e davvero produceva 4,2, il sacrificio sarebbe il doppio di quello promesso. Più o meno lo stesso vale per l’Iraq.
Se non troviamo l’accordo fra noi, è inutile andare a parlare con i russi, ha detto Riad, facendo saltare il vertice con Mosca previsto per ieri. D’altra parte, i russi non sembrano aver intenzione di tagliare. La loro rinuncia sarebbe solo all’aumento di produzione che già avevano in programma. In questa situazione, i sauditi sembrano aver deciso di far vedere che hanno le spalle più larghe di tutti e che possono anche fare a meno di un accordo che faccia risalire i prezzi.
Un bluff? Possibile. Gli ottimisti prevedono che un accordo, domani, uscirà comunque dalle stanze dell’Opec, per salvare l’Opec. I pessimisti prevedono che sarà, però, poco più di un pezzo di carta, senza indicazioni precise su chi deve tagliare e quanto, lasciando che tutti continuino, sotto sotto, a pompare a più non posso. Gli scettici scommettono che l’accordo, quale che sia, avrà comunque durata limitata alla prossima primavera, quando riparte la domanda delle raffinerie per l’estate del turismo e dei condizionatori.
Al di là delle speculazioni dei mercati, la realtà di fondo è, infatti, che il livello da cui dovrebbero partire i tagli promessi è, comunque, un livello record di produzione. Se l’Opec tagliasse davvero i suoi barili di 1,1 milioni resterebbe ben al di sopra della produzione dello scorso febbraio. E, d’inverno, la produzione scende sempre. Sacrifici, insomma, di facciata. Se la domanda non riparte, e non è detto che lo faccia, l’Opec è comunque nei guai.