Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 28 Lunedì calendario

François Fillon, il politico-pilota che ama Le Mans

«Chi? Fillon? Ma se ha il carisma di un’ostrica!»: così si rideva fino a pochi mesi fa quando si evocava l’ipotesi di un François Fillon candidato della destra all’Eliseo, o addirittura ma che ridere! – presidente della Repubblica francese. Molti si sono sbagliati, quasi tutti, soprattutto nel suo partito. Lui invece ci ha sempre creduto, anche se col suo stile, con decoro, garbo e self control. Che l’apparenza non tragga in inganno. Lui stesso ama raccontare che quando portò il pur focoso e vulcanico Nicolas Sarkozy a fare un giro sul circuito della 24 ore della sua Le Mans, aveva potuto constatare quanto l’ex presidente sopportasse male e a fatica le sensazioni forti (praticamente il terrore a ogni curva, povero Sarkó) A lui invece, così ingessato nelle sue giacche a gran risvolti e pantaloni sempre larghi nonostante le mode, piace proprio quello: la velocità, il brivido, il rischio. È pilota di auto da corsa, ma ai lampi della formula uno, preferisce l’endurance di le Mans: resistere, tenere la strada nelle curve difficili e accelerare all’ultimo rettilineo. E soprattutto sangue freddo. Non lo ha imparato sui circuiti, ce l’ha nel sangue.

LA STORIA

Figlio di una professoressa di storia e di un notaio, entrambi saldamente gollisti e cattolici, è rampollo della borghesia di provincia: emozioni a bada, misura, i panni sporchi, se ci sono, si lavano in casa. Ha 14 anni nel ’68: lui, in camera, ha una sola gigantografia, il ritratto del generale de Gaulle. Eppure i biografi qualche intemperanza l’hanno trovata. Alle medie si fa sospendere per tre giorni: lancio di un lacrimogeno in classe. Nuova sospensione al liceo (dei Gesuiti) quando dirige una contestazione contro una prof di inglese che ritiene poco preparata. Le pagelle non sono gloriose: dispersivo, un po’ fannullone, chiacchiera. Però ha la stoffa del leader: negli scout è capogruppo, e conduce con baldanza i tre fratelli minori, cui è legatissimo. La famiglia, d’altra parte, è tutto. Incontra Penelope Clarke, anche lei figlia di notai, ma del Galles, alla fine degli anni 70. Studiano entrambi il diritto alla Sorbona. Si sposano nell’80.
IL LAVORO
François ha 26 anni, ha cominciato a lavorare come assistente parlamentare di Joel le Theule, un amico di famiglia, ministro della Difesa. Le Theule gli muore tra le braccia nell’81, colpito da un infarto: François diventa il più giovane deputato dell’Assemblea Nationale, rinuncia definitivamente a diventare giornalista, la sua prima passione, e comincia una scalata lenta e inesorabile. Oscilla tra la destra sociale e quella liberista, tra Séguin e Balladur. Non ama Chirac, ma riesce a diventare ministro delle Telecomunicazioni durante la sua presidenza quando premier è un certo Alain Juppé. Sarà poi anche agli Affari Sociali, al Lavoro, e all’Istruzione, prima di essere licenziato senza troppe spiegazioni da Chirac.

LA CREPA

Sarà una delle rare volte in cui lascerà intravedere una crepa nel suo abituale garbo: «Quando faranno il bilancio degli anni Chirac non ricorderanno niente, tranne le mie riforme». Senza pensarci due volte passa dalla parte di Sarkozy. Opportunismo? «Ho saputo cogliere le opportunità» corregge lui. «È un pragmatico» assicura il suo amico Igor Mitrofanoff. Di Sarkozy non ama forse le sparate e le intemperanze (ma mai lo ha lasciato trapelare) in compenso condivide riforme e linea. Sarà il suo unico primo ministro. Diventa «la faccia simpatica del sarkozysmo», dicono. Altro che simpatia. Fosse stato per lui le riforme di Sarkozy sarebbero andate ben oltre: maggiori tagli alla funzione pubblica, pensione a 65 anni, fine delle 35 ore, fine anche dell’Imposta sulla fortuna. Ora ha l’occasione di dimostrare che faceva sul serio. C’è scritto nero su bianco sul suo programma: un taglio da 110 miliardi della spesa pubblica. «Lacrime e sangue» sostengono i suoi avversari. Lui la spiega con più garbo: «Bisogna buttare giù la casa e ricostruirla in un altro modo». I consiglieri vedono un solo problema: dovrà imparare a lasciarsi andare un po’: «Rompere la corazza, creare un legame con i francesi, è indispensabile» commentava la sua ex addetta stampa Myriam Levy. Il suo mondo è per ora la sua famiglia, Penelope, costretta suo malgrado a lasciare la campagna e i suoi cavalli nella Sarthe per accompagnare il marito negli ultimi comizi. E i suoi cinque figli. La prima e unica femmina, Marie, ha fatto una prima apparizione in tv e ha suscitato l’entusiasmo generale per l’elegante avvenenza. «È sposata e ha un bimbo, calmatevi» ha fatto sapere il papà.