Corriere della Sera, 27 novembre 2016
Berlusconi: mi ricandiderò, il leader resto io
«Sapete perché Renzi non mi ha messo nelle foto dell’accozzaglia? Perché sa che sarebbe un boomerang. L’unico leader del centrodestra sono ancora io e sono ancora molto popolare». Sono settimane che ci pensa. Settimane passate a tenere in forma il fisico e la mente. Settimane trascorse a escogitare un nuovo «predellino» che possa riportarlo in sella, con i galloni di comandante, alla guida della coalizione. E così ieri, pubblicamente, Silvio Berlusconi è tornato a mostrare alcune delle carte che ha intenzione di giocare sul tavolo della politica italiana. A cominciare da quella che riguarda la guida del centrodestra. «Credo che la sentenza di Strasburgo dovrà arrivare», ha spiegato in un’intervista a Rai Parlamento. E, ha aggiunto, «sono assolutamente sicuro che metterà in chiaro come non ci sia stata alcuna evasione fiscale da parte mia. Io dovrei quindi tornare nella possibilità di ricandidarmi. In quel caso il centrodestra non avrebbe la necessità di cercare altri leader. Nell’ottica berlusconiana poco importa che, al contrario di quanto capitava nel recente passato, non ci sia stato il coro forzista di dichiarazioni di agenzia a sostegno dell’ennesima «ridiscesa in campo» (trai pochi a commentare c’è l’ex pupillo Raffaele Fitto: «Le auto-incoronazioni non sono più possibili»). Conta di più, per Berlusconi, che sia arrivata la reazione di Matteo Renzi. Che, pur ammantandola di ironia, ha replicato all’uscita mattutina dell’ex premier. «Oggi ho sentito che Berlusconi ha tirato fuori un candidato nuovo, perché serve una svolta. A ogni G7 dal 1994 era sempre lì, nel 2017 c’è il prossimo. Lo fa per noi, perché pensa che se non c’è lui non vale».
Dietro l’annuncio di una ricandidatura, per quanto rivolta al futuro, non c’è soltanto la necessità di incendiare la vigilia referendaria. Berlusconi, a ragione o a torto, è convinto che «la mia presenza in politica» – come ha spiegato ai fedelissimi – tranquillizza quel pezzo di elettorato moderato che, in caso contrario, «voterebbe per il Sì». Non solo. C’è la necessità di tenere unito un partito come Forza Italia, che pare sempre più sfilacciato. «E solo io», ripete, «posso farlo». Da ultimo c’è un tema che riguarda la Corte di Strasburgo, che secondo le analisi più in voga ad Arcore ci starebbe mettendo «decisamente troppo» ad affrontare il caso e a emettere quella sentenza che potrebbe liberare il Cavaliere dalle catene della legge Severino. Ribadire la propria presenza sulla scena politica – e non considerare il ricorso come una sola questione di diritti civili – potrebbe provocare un’accelerazione.
Il piano per il 5 dicembre, soprattutto in caso di vittoria del No, è già definito. «Se vince il Sì, si continua con questa Italia che non è in buona condizione. Se vince il No, non accade niente di strano ma avremo il tempo per sederci tutti a un tavolo con le altre forze politiche per mettere in chiaro la legge elettorale e per scrivere una riforma positiva e non pericolosa», spiega Berlusconi. Qualche ora più tardi, il presidente di Forza Italia si spingerà fino a delineare il roseo futuro di un centrodestra di nuovo unito e compatto, concentrato su un programma comune e persino d’accordo sul numero di ministeri da affidare a ciascuna forza politica dopo l’eventuale vittoria elettorale. «Un’ipotesi di governo con venti ministri, di cui dodici presi dalla trincea della vita e otto soltanto dalla politica», sottolinea. E gli alleati? «Ne ho parlato con Meloni e con Salvini e sono stati d’accordo. Tre alla Lega, tre a Forza Italia e due a Fratelli d’Italia». Sembra pura propaganda, e forse lo è. Ma in questa considerazione c’è una novità. Per la prima volta in assoluto, l’ex premier considera Lega e Forza Italia come pari. E non è una questione da poco.