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 2016  novembre 27 Domenica calendario

Rivoluzione e tirannide. L’uomo che sfidò gli Usa

Il padre di Fidel, Angel Castro, arrivò a Cuba agli albori del Novecento con addosso una divisa militare e nello zaino l’ordine di battersi contro l’indipendenza dell’isola. Non poteva sapere, quel contadino spagnolo, che quasi mezzo secolo più tardi suo figlio sarebbe diventato la bandiera non dell’indipendenza formale già conquistata ma di quella «vera», come dicevano i guerriglieri barbudos che per anni avevano combattuto il dittatore Fulgencio Batista fino ad abbatterlo nel gennaio del 1959. Il paradosso ha sempre accompagnato la vita di Fidel Castro, sin dalle sue origini galiziane mai rinnegate. Gli studi dai gesuiti e più tardi una militanza comunista che si voleva atea. L’amore per la Revolución accanto a una intransigenza ideologica che più volte ha rischiato di strangolarla. Il nazionalismo, ma anche la sottomissione obbligata (dai bisogni economici) all’Unione Sovietica e ai suoi giochi da Guerra fredda.
Fidel nasce il 13 agosto 1926. Sua madre Lina è stata prima la cameriera e poi la seconda moglie di Angel, che nel frattempo ha rinunciato alle velleità guerriere e avviato nell’isola una piccola piantagione destinata a crescere velocemente. Fidel e suo fratello Raúl vivono con la famiglia in una casa di legno a due piani, giocano come tutti i bambini e imparano a cacciare, dunque a sparare.
La scuola è una scuola cattolica nella città orientale di Santiago e poi nella capitale L’Avana, dove Fidel viene premiato come il miglior studente giocatore di basket di tutta l’isola. E nel baseball, anche se non riceve premi, è quasi allo stesso livello.
Il contatto con la politica avviene all’università, dove Fidel studia legge. Viene fermato diverse volte, e anche sospettato, ma mai incolpato, per la morte del leader di un gruppo studentesco rivale. Da avvocato continua ad essere un militante, ma tutto diventa diverso dopo che il generale Batista anticipa le elezioni impadronendosi del potere con un golpe nel marzo del 1952. Fidel e il fratello Raúl, già avezzi all’uso delle armi, rispondono organizzando un attacco militare alla caserma Moncada di Santiago. Dei loro 119 compagni di avventura ne sopravvivono 60. Ma ormai per Fidel e il fratello la strada da percorrere è segnata. Fuggono in Messico, reclutano nuovi compagni tra i quali il «Che» Guevara, e nel 1956, a bordo di un barcone chiamato «Granma», sbarcano a Cuba. La prossima tappa è la Sierra Maestra, dalla quale la guerriglia anti-Batista condurrà una campagna sempre più efficace fino alla vittoria dell’8 gennaio 1959.
Fidel si impossessa del potere e continua a battere dei record: il suo primo discorso all’Onu nel 1960 dura 269 minuti, un primato che lui stesso avrebbe successivamente battuto ma non in una sede internazionale. I rapporti con gli Stati Uniti (che utilizzavano la Cuba di Batista alla stregua di un grande parco giochi) sono subito difficili e precipitano rapidamente.
Fidel nazionalizza proprietà americane. L’America risponde con un embargo che dura ancora anche dopo il disgelo tra L’Avana e Washington, perché il Congresso non ha mai accolto la richiesta di Obama di abolirlo. E il risultato, che segnerà i decenni a venire, è che Castro decide di appoggiarsi all’Unione Sovietica e alla sua generosa assistenza.
Paradossi, anche qui. Mentre combatteva sulla Sierra Maestra Fidel negò più di una volta di essere filocomunista. Semmai, il radicale era suo fratello Raúl. E nel viaggio compiuto negli Usa nell’aprile 1959, Fidel ribadì la smentita. Ma gli americani (in particolare il vicepresidente Nixon) non gli credettero, lo presero per un agente di Mosca e lo spinsero in questo modo proprio nelle braccia del Cremlino.
Arrivarono le collettivizzazioni e gli espropri, l’assorbimento dei sindacati nel Partito comunista (partito unico), ci furono tentativi di resistenza e morti. Una delle prime aziende agricole ad essere collettivizzata nell’ambito della riforma agraria fu quella di suo padre Angel.
L’Urss ormai dettava legge all’Avana, e nel 1962 la pretesa sovietica di installare suoi missili a Cuba portò il mondo sull’orlo di un conflitto nucleare. Fidel stette alla finestra e accettò il compromesso segreto raggiunto tra Washington e Mosca. Il suo potere era ormai saldo e collaudato, dopo la prova della Baia dei Porci nell’aprile del 1961. Con l’appoggio della Cia gli esuli cubani negli Usa avevano organizzato un attacco contro il regime castrista. Ma il promesso appoggio americano dal cielo non arrivò mai, e le forze di Fidel uccisero o catturarono tutta la forza di invasione. Da allora non ci sono stati più tentativi di sbarco, anche se contro Fidel sarebbero stati compiuti numerosi attentati o tentativi di attentato.
Nel 1964 Fidel ammise che nelle carceri cubane c’erano quindicimila prigionieri politici, un numero destinato a diminuire di molto in questi ultimi anni dopo i viaggi di Giovanni Paolo II e di papa Francesco, e il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti grazie alla mediazione del Vaticano e del Canada.
Ma prima di arrivare a tanto c’è il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, che priva l’economia cubana di sovvenzioni ormai ultradecennali e molto generose. E c’è, in tempi recenti, il crollo economico del Venezuela chavista, che priva Cuba di preziose e privilegiate forniture di petrolio spesso pagate con l’invio di medici e di insegnanti.
Per la società cubana si tratta di due tempeste perfette, anche i beni di prima necessità periodicamente diventano introvabili e così, poco a poco, i cubani imparano ad arrangiarsi per sopravvivere. Il che, tradotto, significa corruzione endemica, furti regolari anche dalle catene di montaggio delle poche aziende di Stato, e una fame di denaro che condiziona i rapporti sociali in direzione esattamente opposta a quella che il sistema castrista aveva auspicato.
Forse anche per queste delusioni, che si aggiungevano alle sue precarie condizioni di salute, Fidel decide nel 2008 di passare il testimone al fratello Raúl. Che si mostrerà più coraggioso o più flessibile di lui, avviando un programma di riforme graduali ma reali.