Corriere della Sera, 28 novembre 2016
Lo «scienziato» poliglotta, capace di tenere testa pure agli ingegneri
Sulle orme di papà Keke, campione con la Williams nel 1982, sempre con il sorriso sulle labbra e con quella somiglianza con l’attore che ne fa il Leonardo DiCaprio delle corse: «Sì, tanti dicono che ho qualcosa che lo ricorda». Nico Erik Rosberg, classe 1985, è dunque il nuovo re della F1 e di sicuro nel momento in cui ha spezzato l’egemonia (anche psicologica) del compagno di squadra Lewis Hamilton, deve aver pensato ai giorni da bambino in cui sognava un futuro da pilota. «Le automobiline? Caspita se ci giocavo. Mentre i genitori guardavano i Gp (papà Keke si ritirò quando Nico aveva un anno, ndr ), trasformavo il tappeto della sala in una pista personale: ho ancora nel cuore il modellino di una Lotus gialla». Faceva pure il monello con un’auto a pedali: «D’estate correvo lungo il bordo della piscina di casa e poi, pluff, mi tuffavo con la macchina. I miei tremavano».
Dopo il tappeto e la piscina arrivò ben presto l’asfalto. Kart già nel 1996, quindi nel 2002 ecco il passaggio alle monoposto con il successo nella Formula Bmw e la possibilità di testare una Williams: all’epoca Rosberg junior diventò il più giovane pilota a guidare una F1. E proprio la Williams l’avrebbe ingaggiato nel 2006, offrendo una chance a un ragazzo che nel frattempo aveva gareggiato in F3 e nella Gp2 con la Art, conquistando il primo titolo della categoria battendo Heikki Kovalainen, futuro avversario nella classe regina. Abbiamo un ricordo diretto del Rosberg degli inizi. Intervista, a Hockenheim, nell’anno della Gp2: in realtà l’intervista fu lui a farla, domandando di tutto e di più. L’anno dopo, approdato alla Williams, chiedemmo un parere al d.t. Patrick Head: «È incredibile – rispose – come sappia dialogare con gli ingegneri». Un piccolo scienziato al volante. E non è un caso: «In letteratura – dice Rosberg – ero una schiappa. Ma in matematica e in fisica ero un drago». Curioso, preciso, a volte troppo meticoloso: Nico è fatto così. E sta già pensando al suo futuro: «Manager? Forse. Sarebbe un bel mestiere».
Rosberg oltre al tedesco (lingua madre) parla fluentemente inglese, francese, spagnolo e italiano, perché in Italia ha studiato e corso in kart. Ama poi il nostro Paese, dove ha ancora tanti amici. Non parla però il finlandese, la lingua di papà Keke. L’essere poliglotta l’ha aiutato nella carriera, culminata con la svolta del 2010: controllato dalla Mercedes, Rosberg sarebbe finito alla McLaren se il colosso di Stoccarda non avesse deciso di tornare alle corse con una scuderia propria dopo decenni in cui era stato, al massimo, fornitore di motori. Si trovò a fianco un Michael Schumacher in fase calante (anche perché il team non era pronto a vincere) e ben presto bagnò il naso a Schumi. Ma con l’arrivo di Hamilton, nel 2013, le cose cambiarono: la rivalità con un avversario che aveva conosciuto nei kart, diventando suo amico, si fece sempre più aspra, a suon di sportellate in pista, di battibecchi e dell’ignorarsi nel condominio di Montecarlo dove risiedono. Persi due titoli e subìto Hamilton, personaggio antitetico, uomo dalla vita libera mentre Nico ha sposato la sua Vivian ed è papà di Alaia, Rosberg si è finalmente scrollato la patina del «bravo ma perdente». Ne ha guadagnato pure il rapporto con Lewis, aggiustato nonostante altre scintille: su tutte, il cozzo di Barcellona dopo il via.
Rosberg corre con il 6, numero caro a papà. Ma rispetto a Keke, un regolarista che fece suo il titolo con una sola vittoria, è più attaccante. Il modello, tuttavia, è stato indiscutibilmente il padre (oltre a Mika Hakkinen): «Ho sempre pensato che facesse il lavoro più bello del mondo». Per questo motivo, si sente un privilegiato: «Sacrifici? Non scherziamo: i miei amici ‘normali’ fanno mestieri tosti, non vivono a Montecarlo, non girano il mondo e non fanno il surf a Bali. Ma l’importante è essere felici». Quanto lo sarà lui dopo la prima laurea mondiale?