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 2016  novembre 28 Lunedì calendario

Il referendum svizzero sul nucleare e le centrali troppo vicine

È dalla fine degli anni Settanta che i cittadini svizzeri sono chiamati a esprimersi sull’energia nucleare, e ciò che a prima vista colpisce è la coerenza delle risposte: teniamolo, ma non troppo. Così è stato anche ieri, con l’ennesimo referendum sul tema, voluto dai Verdi. La proposta di abbandonare rapidamente l’energia dall’atomo non è passata con il 54% dei votanti (ha votato quasi il 45% degli aventi diritto) e di venti cantoni su ventisei. Ci voleva la maggioranza di entrambi (voti e cantoni) per accogliere la richiesta di accelerazione. Resterà fermo, invece, il piano del governo che prevede una transizione più morbida con la Strategia energetica 2050. Con il No i cittadini elvetici hanno dato fiducia a una visione meno estrema di quella presa dalla Germania, che dopo Fukushima ha optato per un «phasing out» entro il 2022. Con una mano sulla sua (elevata) coscienza ambientalista la Svizzera ha insomma pensato di dare retta anche alle ragioni del portafoglio, visto che sostituire in fretta parte della sua elettricità con un’altra fonte (in totale il 40% viene dal nucleare) sarebbe stato problematico, e di sicuro più costoso, a meno di optare per il carbone. In Italia, tanto per fare un paragone, nel 1987 è stata fatta una scelta diversa, confermata nel 2011: chiudere subito le centrali nucleari, facendo pagare il costo in bolletta alle generazioni future, senza neppure avere il beneficio dell’energia prodotta (e quella nucleare, peraltro, viene importata da Francia e Svizzera). Quale scelta sia da considerare la migliore è questione da lasciare ormai alla storia. Una cosa, però, si può pretendere dai nostri vicini: che i vetusti impianti siano sicuri al 100%. Muhleberg sarà spento nel 2019, ma Beznau 1 ha il primato della centrale nucleare più vecchia del mondo (opera dal 1969). E dista 300 chilometri dal centro di Milano. Proprio certi che non vada chiusa?