la Repubblica, 26 novembre 2016
Chiara come Alba. La Rohrwacher premiata a Torino dove ha portato il nuovo film «La mécanique de l’ombre» con François Cluzet: «Recitare è riguardarsi e pensare: ma quella sono davvero io?»
Al Torino Film Festival Alba Rohrwacher porta il thriller girato in Francia, La mécanique de l’ombre di Thomas Kruithof e riceve il premio Cabiria. Nella motivazione si parla della sua “irruzione gentile sulla scena cinematografica”, della fragilità “solo apparente” di un’attrice che si cala nei personaggi “con grande coraggio e forza”. Di persona Alba è così, reticente e appassionata, sincera anche nel dire no. Due ore per ripercorrere la carriera, 36 anni e altrettanti film, di questa giovane donna in maglione rosso, senza trucco. L’incontro nell’albergo Principi di Piemonte. La prima volta in cui ha pensato di fare l’attrice?
«Da bambina studiavo ginnastica artistica, volevo diventare acrobata. Dalle nostre parti veniva il circo bidone: artisti francesi con tre galline, una scimmia, ballerini. Quel circo era una fuga, per me, era un film di Fellini. Poi la mia storia mi ha portato a iscrivermi alla facoltà di Medicina. Tutti i giorni passavo davanti a una scuola di recitazione. Una sera sono entrata».
E...?
«C’erano attori che provavano le scene. Ero ancora più timida di oggi, ma lì mi sentivo in pace. Ho cominciato a lavorare con questa compagnia, dando contemporaneamente gli esami di Medicina. Ricordo un’estate in Umbria dai miei genitori. Ero scissa, piena di dolore. Mia madre mi disse: “Scegli in base a ciò che senti”. Feci domanda per il Centro Sperimentale, senza nutrire speranze».
E invece fu presa. La ginnastica artistica le è servita?
«Ha reso il corpo flessibile. Dal suo controllo nasce la verità del viso, che è più legato allo stato emotivo: non devi pensare “faccio gli occhi così...”, se lo pensi è la fine. La recitazione è quando ti rivedi e sei sorpresa da ciò che hai fatto».
A lei quando è successo?
«Forse con La solitudine dei numeri primi, lì il lavoro sul corpo è stato profondo. Non avevo capito cosa ero diventata, rivedermi sullo schermo è stata un’esperienza forte».
Perse moltissimi chili.
«Sì. Prima con un dietista, poi di testa mia. All’inizio è difficile, poi arriva il distacco: ti senti lucida, non hai più bisogno di niente. L’anoressia è pericolosa perché la fase del benessere ti porta al danno. Tornare indietro è difficile».
Meryl Streep l’ha definita “un’attrice speciale”».
«Quel giorno atterro all’aeroporto in Marocco, per lavoro, vedo cento messaggi. “Che succede?”. Scopro questa cosa che fa tremare i polsi. Con Meryl Streep sono stata giurata a Berlino, ci siamo comprese attraverso i pensieri sui film che vedevamo, è un conoscersi profondo».
Ha girato due film in Francia, con Kruithof e ora con Arnaud Desplechin. Lei è poliglotta.
«Il francese l’ho studiato quest’anno. Sono cresciuta con un padre tedesco e il desiderio di comprendere le sue conversazioni con i parenti. L’inglese l’ho studiato male, a 14 anni papà mi spedì a New York. Mi persi nella metro affollata, finii nel Bronx».
Rifiuta spesso i ruoli.
«Ho capito che dire no mi fa sentire libera. Prima vivevo il senso di colpa. Per me è più difficile dire sì, faccio solo film in cui credo».
Ha girato con Soldini, Bellocchio, Avati, Costanzo, Garrone...
«Con Bellocchio è stata la mia
prima volta sul set. In L’ora di religione ero una suora. Lavorare con Marco ti porta in una realtà nuova della mente. Silvio mi ha fatto capire che un attore può essere visto dallo stesso regista in tanti modi diversi. Con Pupi ho fatto un film importante. Lavorare con Saverio è prendere parte a un’avventura, spostare il limite. Matteo ha realizzato il sogno del circo, sul set di Il racconto dei racconti ho portato i miei vecchi trampoli».
E poi c’è stata la commedia “Perfetti sconosciuti”.
Le piace far ridere?
«In un corto di mia sorella Alice ero Divina, attrice bionda, nuda, piena di rossetto: scopre in una telefonata che al suo posto hanno scelto tale Vetusta Feroli. Quella donna mi faceva ridere».
Con Alicer siete molto legate.
«Sì. Ci diciamo la verità.
A volte è scomodo, crea conflitti. Temevo che sul set di Le meraviglie ci saremmo fatte del male. Ma il lavoro crea un codice protettivo».
Che rapporto ha con la figlia di Alice, Anita?
«Bellissimo. Ha 10 anni. Quando vede che le acque si agitano dice “è una maretta, non una tempesta”. Alle prove generali di Traviata Alice era agitata, la chiamo al telefono, risponde Anita: “Mamma è nervosa, ma io ho visto tutto: andrà bene”».