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 2016  novembre 26 Sabato calendario

Il flop delle occupazioni a scuola se la Pantera non ruggisce più. Dopo gli sgomberi-lampo di Roma, da Milano a Palermo le contestazioni perdono appeal

Occupazioni delle scuole smontate in 24 ore dai presidi che offrono in cambio l’autogestione o minacciano provvedimenti, dalla polizia che sgombera e ora pure dai genitori, come è successo al liceo Azzarita ai Parioli: due schiaffi e le barricate vengono giù. L’onda autunnale delle contestazioni studentesche, che ha infiammato quindici scuole a Roma e in ordine sparso istituti a Palermo, Firenze e Napoli, non dilaga. Anzi per la prima volta e in modo sempre più diffuso lo striscione “liceo occupato” rimane appeso per poche ore o due giorni appena. Fenomenologia di un rito sempre più stanco rispetto al quale è prevalsa la linea della tolleranza zero. Gli studenti avvertono: «Lo snodo sarà il referendum». L’ala dura dei collettivi si dà appuntamento domani al corteo contro il governo Renzi. Ma nel viaggio tra gli istituti il fascino della notte col sacco a pelo in classe ha perso per strada motivazioni, la forza dei numeri e consenso. Se solo si pensa all’ultimo dei grandi movimenti, la Pantera anni ‘90, quel graffio non c’è più. Gli istituti romani, tranne il Virgilio e il Tasso che non hanno occupato, hanno smobilitato, molti con sgomberi, in fretta scegliendo le autogestioni. Gli studenti del liceo Segrè, a Marano di Napoli, hanno interrotto le lezioni per più di una settimana per avere una nuova succursale. Un motivo specifico, quello politico sembra sfuggire. Gli slogan di quest’anno si concentrano contro l’alternanza scuola-lavoro: «No al lavoro gratis». In Piemonte, Liguria e Puglia non si intravvedono segnali di rivolta. E la spiegazione la dà Davide Lavermicocca dell’Uds di Bari: «Siamo concentrati sulla campagna per il No». Il preside del liceo Scacchi, Giovanni Magistrale, è cauto: «Coi ragazzi organizziamo l’autogestione, il clima è positivo. Ma non so se le occupazioni fatte a prescindere possano dirsi finite. Nei movimenti c’è una dose di irrazionalità». Un’analisi che vale anche per le superiori di Milano, dove sembrano passati anni luce da quando, nel 2012, la preside del Da Vinci si barricò nella scuola occupata scrivendo ai genitori: «Siamo assediati da facinorosi». A Bologna le occupazioni hanno perso appeal, dopo essere finite nelle mani dell’antagonismo. «Il reflusso si fa sentire, quest’anno non tira aria», spiega Francesco Tinarelli del collettivo Cseno. Molto ha fatto lo scorso anno il pugno duro dei presidi: sospensioni, sei in condotta sino alla richiesta di 164 euro ai 22 occupanti di un liceo per ripagare quanto era stato rotto in una notte.
In questo autunno tiepido il blocco delle lezioni c’è stato al classico Galileo di Firenze: liceo occupato in un venerdì di ottobre, chiavi riconsegnate la domenica dopo aver ottenuto un’aula. Lo scorso novembre erano altre le tensioni, con l’artistico di Porta Romana occupato per nove giorni, l’intervento del sindaco Dario Nardella, denunce e sospensioni. A Palermo altre occupazioni-lampo. Flavio Scuderi, voce degli studenti al liceo Cannizzaro, è franco: «Al rito non crede più nessuno».
 
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Intervista alla coordinatrice nazionale dell’Unione degli studenti
«Si sta creando un clima aggressivo, a livello di pubblica opinione, nei confronti degli studenti e delle occupazioni, e questo è inaccettabile». A parlare è Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell’Unione degli studenti.
Si riferisce agli interventi della polizia nelle scuole romane occupate?
«Al liceo Morgagni gli studenti sono stati intimiditi e minacciati, sono stati schedati i minorenni. Episodi simili si sono verificati al Machiavelli e ci sono stati sgomberi anche in altre scuole occupate. Si vuole provare a bloccare un’ondata di occupazioni in modo repressivo».
Pochi occupanti, il rito è ormai vuoto non crede?
«L’occupazione è un momento di riappropriazione degli spazi, anche se non l’unica forma di lotta. E non è interruzione di servizio pubblico, perchè la scuola appartiene agli studenti. Vanno capite le ragioni di chi occupa, non si interviene con la forza».
Quali sono le ragioni?
«Possono esserci ragioni interne, per esempio la mancata concessione da parte dei presidi delle assemblee di istituto. Si occupa per reclamare risorse e qualità nell’istruzione. E poi c’è la mobilitazione contro la Buona scuola, contestiamo l’alternanza scuola-lavoro fatta con accordi tra il ministero e le multinazionali».
 
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Intervista a Monica Galfrè, storica
Monica Galfrè, storica dell’università di Firenze e studiosa dei movimenti studenteschi, legge il rito ormai stanco delle occupazioni.
Partiamo dai genitori che si riportano a casa i figli che occupano.
«Mi ha colpito molto, è sintomatico di come si sono rovesciati i rapporti generazionali. I genitori vivono ormai attraverso i loro figli. La scuola è diventata estensione della famiglia che interviene su tutto, anche su una bocciatura. E questo lo si paga in termini di autonomia dei figli, nel bene e nel male. Non sono più autonomi nemmeno nel fare le barricate».
Dalle occupazioni negli anni ‘70 cosa è cambiato?
«Allora la scuola era il luogo per eccellenza della contestazione giovanile, anche per i ritardi che l’Italia scontava sul terreno scolastico, e quella dei giovani era una categoria trasversale che aveva una sua autonomia. C’era rottura vera in un legame forte con quanto si muoveva nella società. Negli ultimi anni le occupazioni non trovano più alimento dal basso, nascono dal niente e sono formalizzate da accordi coi presidi, sono sostanzialmente incomprensibili all’esterno. La tendenza è a reiterare strumenti nati in un contesto diverso. Il rito per forza è stanco se non nasce da una spinta che ha un legame con la società. Ma non è una condanna a questa generazione, sarebbe troppo facile e sbagliato leggerla con gli occhi degli anni ‘70».