La Lettura, 27 novembre 2016
Leo Messi sente arrivare come nessun altro il rumore del gol
Il 6 novembre Leo Messi ha segnato al Siviglia il suo cinquecentesimo gol nel Barcellona. Poi a Glasgow, contro il Celtic, è arrivato a 502 reti in 593 partite. Per avere qualche unità di misura, diciamo che i gol di Messi sono circa 200 più di quelli segnati nella Roma da Francesco Totti in un tempo doppio, 11 anni contro 23. Un numero di gol eccezionale che aumenterà ancora, ma lontano dalla leggenda. Il buon vecchio Pelè infatti ne ha segnati 1.281 (647 nel Santos). Come non si sa. Pelè ha giocato soltanto in Brasile, il numero finale mette nella somma anche i gol segnati da bambino. Con quelli Messi sarebbe già a circa 800.
C’è però un altro brasiliano che ha fatto ufficialmente meglio, Arthur Friedenreich. Non lo ricorda nessuno in Europa perché tutto accadeva un secolo fa, ma Friedenreich riuscì a segnare 1.239 reti. E la media dei gol a partita all’inizio del Novecento era spesso più bassa di quella attuale (in Italia 2,3 contro 2,7). Friedenreich era un mulatto, figlio di un mercante tedesco e di madre afrobrasiliana. Non essendo i neri graditi nella nazionale brasiliana, prima di andare in campo si stirava i capelli crespi e si riempiva di brillantina. Poi si incipriava la faccia. Infine segnava, tanto, e giocava benissimo a calcio. Questo aiutava a scambiarlo per un bianco. Era ed è rimasto molto popolare. Un trofeo a suo nome va ancora oggi al capocannoniere del campionato paulista.
Sul numero dei gol di Friedenreich si è aperta una ricerca internazionale. All’inizio si disse che ne avesse segnati 1.329, 48 più di Pelè, sarebbe stato un record mondiale. Poi risultò che c’era stato un errore, erano stati invertiti due numeri. I gol dovevano essere 1.239, ma oltre la metà erano stati segnati quando non c’erano ancora i referti arbitrali. E il gol è gol solo quando l’arbitro lo segna nel suo taccuino. I referti arrivarono verso la metà della carriera di Friedenreich. La cifra sicura è ancora impressionante, perfino più di quella di Messi: 547 reti in 572 partite. Mai un rigore sbagliato.
Ma che cos’è il gol? Credo sia molto vicino al bacio di Cyrano de Bergerac, davvero un attimo fuggente atteso da migliaia di persone. Ne ho visti tanti, ma continuo a provare un senso di sorpresa quando ancora ne vedo segnare uno, dovunque. Perché c’è il compimento di uno scopo, una realizzazione totale. Forse ci siamo abituati, ma è quasi impossibile vedere altre volte nella vita un’esplosione di energia così felice e improvvisa, di tutti. Gigi Radice mi disse che il gol aveva un suo rumore. Lo sentivi arrivare, come una cavalcata di nomadi. E quel fruscio soffocato del pallone contro la seta della porta era la melodia del compimento.
Gol è la traduzione italiana dell’inglese goal, parola di etimo ignoto. Vuol dire meta, traguardo, obiettivo. Era nata per il rugby, il grande fratello del calcio. La cosa buffa è che il gol è arrivato molto dopo il calcio. Per tremila anni non sono esistite nemmeno le porte. Il gol era un confine da superare in fondo al campo o a un territorio, era una conquista di spazio. I primi segnali di porta arrivarono poco dopo la metà dell’Ottocento. All’Eton College si usava una siepe che limitava il prato. Nello Hampshire si metteva uno studente in fondo al campo a gambe divaricate. Era gol quando la palla finiva tra le sue gambe. Non c’era nemmeno il portiere. Fu introdotto una decina di anni dopo. Ogni squadra poteva scegliere se mettere un uomo vicino al confine o usarlo in qualunque altra parte del campo.
L’invenzione della porta (due pali e un filo teso tra un palo e l’altro) non cambiò il calcio, lo creò. Nascendo il gol, nasceva il modo di cercarlo. Non bastava più portare il pallone con i piedi oltre la linea di fondo campo, bisognava metterlo dentro quello spazio. L’orizzonte diventava un imbuto. Non serviva più solo saltare l’avversario, era necessario avere una direzione, quindi un controllo della palla. Più equilibrio che forza, più tempo che corsa.
L’eccezione sta proprio nell’armonia, nella capacità di mettere insieme cose sempre separate come la corsa, il controllo, il tempo e la velocità. Messi sente il rumore del gol che raccontava Radice, lo sente prima degli altri e ha tutto per sfruttare quell’anticipo. Le moviole hanno dimostrato che fra il controllo e il tiro Messi impiega fino a quattro decimi di secondo in meno di un buon giocatore normale. In genere passa un secondo intero. Questo significa tutto, che anticipi di quattro decimi anche il colpo d’occhio del portiere. Messi sa andare a una velocità di 32.4 chilometri all’ora con il pallone tra i piedi. Facendo i cento metri in dieci secondi netti si va a 36 chilometri all’ora. Senza pallone.
Più di Cristiano Ronaldo, Messi rappresenta il gol universale. Ronaldo è più atleta, è alto, strutturato, ha una muscolatura fantastica. Messi resta un bambino silenzioso che, dopo dodici anni di cure contro la sua crescita fragile, è riuscito a diventare un ragazzo come tanti. I suoi gol sono di tutti i normali del mondo. Il suo dono è la leggerezza dei piccoli, l’agilità degli acrobati da spiaggia, la meraviglia del possibile. Dimenticandosi il limite senza nemmeno saperlo.