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 2016  novembre 27 Domenica calendario

Un solo club 500 + 2 palloni in rete. Ecco Messi


In questo, almeno in questo, Maradona è un’ombra lontana. Lui, «la Mano di Dio», ai cinquecentodue gol di Leo Messi – gli ultimi due li ha segnati mercoledì scorso a Glasgow contro il Celtic in Champions League – non ci andò nemmeno vicino, si fermò a 312, realizzati in sei club diversi, dalla prima rete con l’Argentinos Juniors del 1976 all’ultima col Boca nel 1996.
Forse ha ragione chi sostiene che in fondo un paragone fra i due non abbia nemmeno senso: ruoli, epoche, circostanze diverse. C’è chi, come il giornalista Victor Hugo Morales, è convinto che la differenza stia nelle Falkland/Malvinas: Diego ebbe in un certo modo la possibilità – e paradossalmente la buona sorte – di forgiare la propria indole su una guerra e ciò che essa comporta, orgoglio nazionalista, codici patriottici, l’odio contro los ingleses che poi fu il vero assist per il leggendario gol di mano a Messico 1986. Leo no: è figlio di un’epoca di pace. Un gol come quello, con quel peso non più sportivo ma politico, la Pulce non l’ha mai fatto, ed è una delle critiche che in patria lo renderanno per sempre il numero due dei numeri uno. Ma ne ha fatti altri bellissimi e pesantissimi, 471 in 546 partite ufficiali ai quali vanno aggiunti i 31 in 47 amichevoli. Il totale, 502, è spaventoso. Una montagna di gol in undici anni di carriera, la maggior parte dei quali, 287, di sinistro, diciamo il piede migliore anche se – detto così – fa sorridere visto che con l’altro ne ha messi dentro 64.
E poi quelli su punizione, su rigore, addirittura di testa come nella finale romana di Champions del 2009: lui, così piccolo che da bambino doveva fare iniezioni di ormoni per combattere i disturbi della crescita. E poi ci sono quelli belli sul serio. Uno su tutti è il gol del 30 maggio 2015, finale di Copa del Rey. Fu forse l’unica occasione in cui perfino ai suoi detrattori – esistono – toccò ammettere che quella serpentina ricordava molto e per davvero il famoso secondo gol di Maradona a Shilton di trent’anni fa. Messi un Mondiale non l’ha mai vinto, e al momento rischia di restare fuori dal prossimo, Russia 2018, quando avrà 31 anni. Col Barcellona ha vinto tutto e più volte – otto la Liga, quattro la Champions, quattro la Copa del Rey più altro ancora – ma con l’Argentina niente, tolto un oro olimpico e un campionato del mondo Under 20 nel 2005. Non abbastanza per uno come lui. Che ora, nell’anno dello straordinario traguardo delle 502 reti in blaugrana, un anno per il resto durissimo dopo la sconfitta in finale di Copa America e il conseguente adiòs poi rimangiato, sta riflettendo sul futuro.
È cambiato, Leo. I tatuaggi, i capelli ossigenati. Come se volesse apparire diverso, essere un altro. La voce sottile e lo sguardo imperscrutabile, un po’ annoiato e un po’ triste, sono però sempre gli stessi. C’è chi dice possa seguire Guardiola al Manchester City, spinto più che dai quattrini – guadagna 74 milioni lordi all’anno, premi e sponsor inclusi – dalla recente condanna a 21 mesi per frode fiscale, che in caso di un eventuale futuro reato potrebbe costargli addirittura il carcere in Spagna. La terra che lo ha accolto, dove è cresciuto, dove è diventato grande. Forse non il più grande. Ma è poi così importante?