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 2016  novembre 25 Venerdì calendario

Bollenti ricordi di Marina

Il Grand Hotel era stato da poco ristrutturato dalla Maison Jansen di Parigi (la stessa maison che Jacqueline Kennedy aveva assoldato anni prima per riarredare la Casa Bianca), ed era diventato un luogo di vivacissima mondanità romana e di grande passaggio. 
Ci si vedeva con gli amici soprattutto per colazione, ma anche in palestra o nella sauna, o nella sala da tè, oppure, verso sera, si saliva per un aperitivo al bar, dove, oltre alla fauna locale, si potevano incontrare Billy Wilder, Ava Gardner, Kirk Douglas, Aristotele Onassis, Liz Taylor, Jack Lemmon, Burt Lancaster, Maria Callas, oppure Gianni Agnelli e Henry Kissinger. E poi c’era il parrucchiere per signore, aperto anche il lunedì, quindi molto frequentato. 
(…)Quelle colazioni
al Grand Hotel erano molto speciali: tre ami
ci che chiacchieravano
di tutto, che spettegolavano e si scambiavano confidenze, con la taci
ta consegna di non parlare di letteratura. Ad Alberto e Goffredo piace
va sentirmi raccontare delle mie avventure, dei miei amori, dei segreti piccanti delle signore che frequentavano il mio atelier d’alta moda, oppure ridere delle rotondità e dei crucci sentimentali di qualche matrona romana. 
QUELLE DUE LETTERE 
(…) Alberto, con quel suo fare asciutto e burbero, Goffredo con paterno sarcasmo. Un giorno, forse per farsi perdonare il diluvio di critiche che mi rovesciavano addosso, cercarono di consolarmi con due lettere che cominciavano con le parole di rito “Cara Marina”, due lettere che vennero pubblicate una accanto all’altra e che suscitarono non poco scalpore nel mondo intellettuale romano. Ricordo che stavamo tutt’e tre consultando il menu, quando a un tratto alzai la testa e ruppi il silenzio: «Sentite,ho un problema, dovete darmi una mano». 
«Forza, parla» mi esortò Alberto. «Roberto Granata mi ha chiesto di posare per un servizio fotografico senza veli per “Playmen”. 
Mi hanno offerto un bel gruzzoletto, che in questo momento mi farebbe molto comodo. Io però ho qualche scrupolo, già immagino che ai miei genitori verrebbe un colpo se solo aprissero il giornale. Non so che fare». 
L’AMICO GOFFREDO 
Goffredo mi tolse subito il peso dal cuore. «Saresti sciocca a rifiutare, Marina. Che cosa vuoi che sia, per qualche foto osé non è mai morto nessuno! Anzi, mi è venuta un’idea, proponi alla redazione della rivista un mio commento alle tue foto. Che ne dici, Alberto? Potresti scrivere due righe anche tu. Non saremo certo noi due ad arricciare il naso davanti a una rivista cosiddetta “erotica”». 
«Ma sicuro» esclamò ridendo Alberto, «magari pagano bene pure gli articoli...». Il giornale uscì nel maggio del 1980, con una mia foto in copertina e lo “strillo” Nudo d’autore. Marina Lante della Rovere “interpretata” da Moravia e Parise. All’interno mi avevano dedicato dieci pagine di foto, in cui indossavo (si fa per dire) abiti del mio atelier o schiuma da bagno. 
La rivista andò a ruba. Qualche giorno dopo l’uscita, su un aereo MilanoRoma incontrai Eugenio Scalfari che, non appena mi vide, si alzò di scatto per venirmi a dire, solenne e pomposo come sempre: «Ma come hai fatto a convincere due grandi scrittori a dedicarti una lettera su una rivista come “Playmen”? Si vede che ti vogliono proprio bene...», e io completai mentalmente: “Per scendere così in basso”. 
Scalfari tornò al suo posto, scuotendo sconsolato la testa, con l’aria di chi pensa che il mondo va alla rovescia. In quella lettera Alberto Moravia scriveva: «Tu non sei un’artista, Marina, ma si potrebbe affermare che c’è molta arte, sia pure a livello inconscio, nella tua vita». E aggiungeva: «Perché sei volubile come colui che segue il proprio ‘particulare’ e questo è anche il tipico procedimento dell’arte: scansare come la peste le idee generali e tenersi al dettaglio, anche quando porta a contraddizioni e deviazioni”.
E concludeva così: “Poco importa se domani con un altro capriccio, un altro capriccio, un altro estro distruggerai alla fine il tuo stesso ritratto. L’autodistruzione è il colmo del ‘particulare’”. (…)Moravia si diede da fare in qualche modo per Mario Schifano, visto che, qualche giorno dopo quella cena, il “puma”, come lo chiamava Goffredo, era già fuori da Regina Coeli. Una vicenda più seria fu invece l’arresto di Mario diversi anni più tardi, nel ’74, per uso e detenzione di cocaina. 
SUL DIVANO 
A quel tempo Moravia era ormai da anni anche amico mio e Franco insistette perché lo convincessi a chiedere al suo avvocato, il famoso penalista Adolfo Gatti, di assumere la difesa di Mario. Telefonai ad Alberto, che venne subito a casa mia. Ci sedemmo sul divanetto e, mentre io gli spiegavo i guai in cui si era cacciato Schifano, lui senza tanti complimenti mi prese una mano e se l’appoggiò sulla patta, dicendomi: «Senti quanto è duro». Ci rimasi di stucco, ma la buttai sul ridere e tenni botta. Tutto finì lì. 
Il giorno seguente, andammo insieme nello studio di Gatti, in via Condotti, sopra la gioielleria Bulgari. (…).