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 2016  novembre 25 Venerdì calendario

«Nessuno può abolire il Cnel». Intervista a Delio Napoleone

L’ultimo convegno del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) si è tenuto mercoledì. Almeno se passa il Sì al referendum, che prevede tra l’altro l’abolizione di questo organo consultivo sulla legislazione economica e sociale previsto dall’articolo 99 della Costituzione. Delio Napoleone, 70 anni, imprenditore abruzzese, vicepresidente del Cnel salito alla presidenza dopo le dimissioni di Antonio Marzano l’anno scorso, ha aperto i lavori sul tema La dirigenza pubblica ai tempi della riforma con una domanda: «Mi sono chiesto se il Cnel serva ancora o no. Ho lasciato che rispondessero docenti, sindacalisti ed esperti. Hanno chiarito che serve un luogo dove le parti sociali si incontrino. Un posto pubblico e regolato, non un ristorante privato dove qualcuno più debole finisce per pagare il conto a beneficio di tutti gli altri». 
Una metafora chiara la sua, ma anche Confindustria cui lei deve la nomina è per l’abolizione del Cnel. 
«Tutti hanno detto sì, chi più chi meno. Il Cnel non risponde al modello economico post globalizzazione. Ma va riformato, non abolito. In Italia serve ancora un posto dove esprimere pareri e promuovere iniziative legislative per lo sviluppo del Paese». 
Renzi non sembra del parere. 
«Al Cnel sono venuti tutti, da Napolitano a Monti e Letta. Salvo Renzi». 
Come mai? 
«Non lo so, non l’ho né sentito né cercato. Vivo la presidenza in modo defilato come servizio». 
Non ha fatto niente perché cambiasse idea? 
«Non sta a me. Non devo convincere nessuno. È il Parlamento che deve decidere». Ma perché non si dimette? 
«Ho un obbligo costituzionale. Sarei Schettino che abbandona la nave». 
Il suo predecessore Marzano si è di
messo. 
«Lo domandi a lui il perché». 
Ma è vero che la direttrice generale di Confindustria, Marcella Pannucci, le ha chiesto di dimettersi? 
«Sì e le ho spiegato quello che sto dicendo a lei. Ne ha prese atto». 
Perché glielo ha chiesto secondo lei? 
«Non lo so. Vorrebbero riformare il Cnel, ma lo lasciano senza guida». 
Cosa succede dopo il referendum? 
«Io osservo il Sì e il No, per me sono equivalenti. In entrambi i casi il Cnel va rivisto». 
Scusi, ma se vince il Sì non viene abolito? 
«Durerà in ogni caso. Se vince il Sì con una forma, se vince il No con un’altra. Esiste in ogni paese europeo, è previsto nei trattati. Se resta Renzi sarà lui stesso a riformarlo». 
Dica la verità: lei vota Sì perché pensa che il Cnel non lo aboliscono comunque. 
«Quel che voto io è ininfluente. Posso dirle che in famiglia siamo molto divisi tra Sì e No». 
Un’opinione diffusa è che, comunque vada, la riforma verrà poco attuata. Che ne pensa? 
«Non sono d’accordo, la Costituzione ha bisogno di essere rivista. Naturalmente se la discussione sulla modifica è civile come la nostra intervista non ci sono problemi, se non lo è non va bene. La riforma diventa lesa maestà se la si personalizza troppo o la si carica di significati diversi». 
Lei si è sentito tutti contro in questi mesi o qualcuno l’ha confortata? 
«Nessuno mi è contro, perché tutti sanno che il Cnel va riformato in ogni caso. Martedì sera ero alla cena al Quirinale per il presidente del Vietnam con il presidente del Senato Grasso, la presidente della Camera Boldrini, il presidente emerito Napolitano e vari ministri del governo Renzi. Mi guardavano tutti con simpatia. Sul Cnel ho ascoltato pareri diversi, ma liberi. La preoccupazione di tutti non è per il referendum, che poteva arrivare in un momento migliore, ma per la disoccupazione e le elezioni negli altri paesi europei. Il Cnel può ancora essere utile per pensare tutti insieme le riforme che servono a rilanciare l’economia».