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 2016  novembre 25 Venerdì calendario

Lipsia, ricca, giovane e odiata. Viaggio nella nuova capitale del calcio tedesco

LIPSIA LA SOSTENIBILE leggerezza dell’essere primi in classifica si respira nell’allenamento a porte aperte. La neopromossa RB Leipzig è la squadra “più odiata” di Germania, è clamorosamente in testa alla Bundesliga con tre punti sul pallido Bayern di Ancelotti e stasera sfida il Friburgo. Qualcuno potrebbe spiare le loro tattiche, ma fa niente: i tifosi überalles. Nonostante il freddo aguzzo, bambini, ragazzine e tanti anziani invocano selfie e autografi dai giocatori. Franz, 71 anni, ex impiegato di banca sprimacciato tra coppola e sciarpone, ammette: «Fino a qualche anno fa neanche seguivo il calcio. Poi hanno creato l’RB, qui a Lipsia dove non c’era niente, e mi sono appassionato. C’è un clima straordinario, rilassato, con tante famiglie allo stadio».
Eppure, per i tifosi tedeschi più nostalgici, questo è un immondo Plastik- club, un club di plastica. Perché RB Leipzig sta per Red Bull Lipsia, anche se il nome ufficiale è RasenBallsport (“sport di palla sul prato”) in quanto le leggi tedesche vietano agli sponsor di appaltarsi i nomi delle squadre – eccezione il secolare Bayer Leverkusen. È l’ennesima spavalda creatura sportiva della multinazionale austriaca, dell’energy drink dei tori rossi, i Rote Bullen, come vengono chiamati i giocatori. Ed è quella che, sinora, dopo gli esperimenti di Salisburgo e New York, ha avuto il successo più clamoroso: nata nel 2009 nell’ex Germania est sulle macerie del SSV Markranstädt, in pochi anni ha scalato cinque categorie e la vetta della massima serie. «Sapevamo di fare bene, perché siamo una squadra rodata e affiatata, ma non così bene», ci spiega il capitano Dominik Kaiser dopo una seduta di “eye tracking” (“occhi tracciati”) per migliorare concentrazione e riflessi. «Le critiche e gli attacchi esterni ci rendono ancora più forti». «Alleno giovani che hanno voglia di imparare, hanno tantissima fame. Il nostro unico segreto è il lavoro duro», aggiunge l’allenatore austriaco ed ex studente perugino Ralph Hasenhüttl, autore di questo miracolo teutonico insieme al ds Rangnick, già artefice anni fa di un altro show con la neopromossa Hoffenheim. «Le critiche degli altri? Sono un complimento per noi».
I tifosi del Dortmund hanno boicottato la trasferta a Lipsia, il loro ad Watzke («sarà un po’ insoddisfatto», dice Hasenhüttl) non perde occasione per attaccare la Red Bull, quelli della Dinamo Dresda hanno buttato una testa di toro in campo, sabato a Leverkusen il bus del Lipsia è stato ricoperto di vernice. Per i critici l’RB è solo il mezzo di un malefico fine commerciale Red Bull, che drogherebbe il calcio moderno pompando soldi e calciatori in franchising (molti, come i bravi Bernardo e Naby Keita, sono arrivati dai club satelliti): una squadra senza storia, senza tradizione, senz’anima, come il Faust che Goethe ambientò qui a Lipsia. Accuse respinte dal grande capo, “Head of Global Soccer” di Red Bull, Oliver Mintzlaff, 41enne maratoneta incallito: «Abbiamo un progetto serio, siamo la squadra più giovane in Bundesliga (età media 24,1 anni, ndr), pensiamo in grande», ci spiega nel suo ufficio mentre offre la bevanda della casa. «Ma con pazienza, passo dopo passo. Puntiamo sui giovani, abbiamo una filosofia che applichiamo in tutte le squadre Red Bull: non svenarsi per un solo calciatore, ma insegnare ai giovani a crescere, a superare ostacoli. È un bene per tutta la Germania».
La filosofia Red Bull è patente nel nuovissimo centro sportivo. Qui tutti i giocatori hanno dei miniappartamenti, ognuno con maglietta alla porta. E le palestre di prima squadra e giovanili sono trasparenti, sospese a dieci metri di altezza su un campetto indoor. Così gli under 21 osservano le vite degli altri più famosi mentre si allenano, in un generoso Grande Fratello. «La motivazione è un aspetto cruciale per noi», spiega Benjamin Ippoliti, responsabile stampa, «i giovani devono capire da subito che possono migliorare e arrivare in prima squadra, se si impegnano». Il campo di allenamento è circondato di citazioni cubitali che ti mettono le ali, come da pubblicità: «Non puoi avere limiti, niente è impossibile», Usain Bolt. «Posso accettare che nessuno sia perfetto, ma non che non ci puoi provare», Michael Jordan. «I fiori del vincitore nascono da molti vasi», Michael Schumacher.
E pensare che fino all’anno scorso la società lavorava nei container. Poi è arrivato que- sto centro sportivo modello Ikea, piccolo e compatto, nel rinato quartiere occidentale di Altlindenau. Lo Zentralstadion, costruito per i mondiali 2006 e già ribattezzato Red Bull Arena, è a poche centinaia di metri. In mezzo, il torbido fiume Elstenbecken. Da fuori però lo stadio non si vede, tori rossi sulla copertura delle tribune esclusi. L’impianto è praticamente circondato dal guscio del vecchio stadio: scheletri di biglietterie graffitate, un prato sconsolato e una gigantesca torre beige dedicata al lottatore comunista Werner Seelenbinder, torturato e decapitato dai nazisti nel 1944.
Nella Sassonia dove crescono sempre più estrema destra e populismo, Lipsia è un’eccellenza commerciale e culturale. Aumentano investimenti e abitanti: oltre 18mila in più tra 2014 e 2016, nessuno così in Germania. Qui ci sono stati la Battaglia delle Nazioni, la Rivoluzione Pacifica del 1989, Mendelssohn, Bach, Wagner, Angela Merkel studente di chimica e Chailly a capo della storica orchestra del Gewandhaus. Qui fu fondata la Federcalcio tedesca, il costo della vita è basso, il potenziale economico enorme. Persino Thomas Brussig, massimo scrittore vivente dell’ex Ddr, approva l’Rb Leipzig: «Farà sicuramente bene alla città e alla Germania est, da troppo tempo assente dai grandi palcoscenici. E poi gioca un calcio divertente». «Anche le altre squadre hanno grandi gruppi dietro», aggiunge Mintzlaff. «Il Bayern ha investitori mostruosi come Audi, Adidas e Allianz, il Dortmund la Puma, Gazprom finanzia lo Schalke 04, la Bayer il Leverkusen...». Insomma, per il Red Bull pensiero, Lipsia non ha venduto l’anima del calcio al diavolo, come il suo Faust. O comunque, non meno di altri.