Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2016
Così la Ue vuole ridurre i rischi nelle banche
Bruxelles La Commissione europea ha presentato ieri un atteso pacchetto legislativo che deve servire a ridurre ulteriormente i rischi nei bilanci bancari. Oltre a introdurre nuovi requisiti di capitale e nuovi limiti nell’uso della leva finanziaria, Bruxelles vuole tenere conto delle molte differenze tra le banche in Europa, riducendo gli oneri amministrativi per gli istituti di credito più piccoli. Analisti notano crescenti divergenze nella regolamentazione bancaria a livello internazionale.
«Presentiamo una nuova proposta di riduzione dei rischi nel settore bancario che si basa sugli standard decisi a livello internazionale, ma prendendo in considerazione le specificità del settore bancario europeo», ha detto il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis in una conferenza stampa qui a Bruxelles.
Il pacchetto dovrebbe contribuire a completare l’unione bancaria e in particolare l’introduzione di una garanzia unica dei depositi creditizi, come previsto in origine (si veda l’articolo sotto).
Per migliorare la solidità delle banche, la Commissione propone al Consiglio e al Parlamento di adottare un nuovo coefficiente massimo di leva finanziaria per le banche più grandi pari al 3% del capitale Tier One; regole vincolanti che impongano maggiore equilibrio tra finanziamento a breve termine e prestiti a lungo termine; l’adozione del Tlac (Total Loss Absorbing Capacity, vale a dire una percentuale di fondi propri per meglio assorbire le perdite) nelle banche più grandi.
Esponenti comunitari notavano ieri che quest’ultima misura – associata al Mrel, il requisito minimo di fondi propri per le banche più piccole – dovrebbe consentire il facile contributo di azionisti e obbligazionisti istituzionali nel caso di intervento pubblico in un istituto di credito, evitando situazioni simili a quelle italiane del 2015. Allora, a pagare lo scotto del salvataggio statale furono persone fisiche, per la mancanza di investitori istituzionali.
Sarà interessante capire come reagiranno governi e banche. Da Berlino, Bloomberg ieri sera dava voce a insoddisfazione dell’esecutivo su alcuni aspetti. Da Roma, il direttore generale dell’Associazione bancaria italiana, Giovanni Sabatini, ha commentato: «Bisognerà approfondire i documenti ma a una prima valutazione si tratta di un ulteriore carico per le banche e di inasprimento delle richieste di capitale, in un momento in cui la ripresa è ancora fragile e il contesto internazionale non è facile».
Per rafforzare il ruolo delle banche nel finanziamento dell’economia reale e in particolare delle piccole e medie imprese, l’esecutivo comunitario propone di rivedere il fattore di supporto alle Pmi (Sme Supporting Factor in inglese), eliminando tetti ai prestiti che permettono alla banche di effettuare accantonamenti meno elevati del normale (si veda l’articolo di domenica su ilsole24ore.com). Bruxelles vuole anche eliminare alcuni oneri amministrativi per gli istituti di credito più piccoli.
In una conferenza stampa, il vice presidente Dombrovskis ha confermato che nel quadro dei negoziati sulle regole prudenziali di Basilea III l’Unione è contraria a un aumento dei requisiti patrimoniali che possa incidere indirettamente sulla crescita economica. Sullo stesso argomento e con la stessa posizione si è espresso ieri anche il Parlamento europeo in sessione plenaria a Strasburgo, che ha approvato una risoluzione già votata in commissione (si veda Il Sole/24 Ore dell’11 novembre).
Le nuove regole più restrittive sono pensate per i 13 istituti sistemici (Unicredit in Italia), ma «si applicheranno anche alle banche di paesi terzi con forte presenza nel territorio della Ue», ha detto l’ex premier lettone. La decisione non è dissimile da quella presa di recente negli Stati Uniti, ma secondo alcuni analisti è più inflessibile di quella americana quando messa in pratica. Più in generale, le eccezioni volute dalla Commissione segmentano in qualche modo la regolamentazione internazionale.
L’organizzazione Finance Watch faceva notare ieri «la chiara disponibilità» delle autorità comunitarie «a deviare dagli standard internazionali». Più in generale, c’è «la dominante preoccupazione di mantenere o di migliorare la competitività delle banche europee rispetto ai concorrenti a livello mondiale».
Finance Watch si lamentava del fatto che «il clima di cooperazione internazionale nella regolazione bancaria si è raffreddato. Le azioni politiche sono guidate sempre più da priorità domestiche».Beda Romano
Nuove regole per le banche, aiuto per le Pmi
La riforma delle regole bancarie europee varata ieri dalla Commissione consolida ed estende una misura chiesta a gran voce dalle banche italiane già tre anni fa, alla luce delle particolarità della struttura imprenditoriale italiana basata sulle piccole e medie imprese. La revisione del regolamento sui requisiti di capitale (CRR) del 2013 non solo conferma il cosidetto “fattore di sostegno alle Pmi” (Sme supporting factor) ma lo estende oltre la soglia attuale di un milione e mezzo di euro.
L’articolo 501 prevede infatti che l’esposizione degli istituti di credito verso le piccole e medie imprese sia ponderata in base ad un coefficiente che si traduce in uno sconto del 23,81% dei requisiti dei capitale e dunque degli accantonamenti a bilancio. La norma attuale permette questo “sconto” per i fidi fino a 1,5 milioni di euro. La novità è che la riduzione di capitale, oltre ad essere confermata, viene estesa oltre questa soglia, anche se in percentule ridotta. In pratica, per i fidi di importo superiore le banche godranno dello sconto del 23,81% fino a 1,5milioni e del 15% per la parte eccedente, senza limiti di importo. «Le Pmi sono uno dei pilastri dell’economia dell’Unione europea – spiega la Commissione nella proposta di modifica del regolamento – in quanto svolgono un ruolo fondamentale nel generare crescita e creare posti di lavoro. Considerato che comportano un rischio sistemico più basso rispetto alle grandi imprese, i requisiti di capitale per l’esposizione nei loro confronti dovrebbero essere più bassi, in modo da assicurare un finanziamento ottimale delle piccole e medie imprese».
L’effetto di questa misura sui bilanci bancari e in termini di finanziamenti alle imprese è già stato sperimentato e apprezzato, sia dalle banche che dalle imprese sin dall’entrata in vigore nel 2014. «Abbiamo calcolato che nel 2015 – spiega Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse, la federazione delle banche di credito cooperativo – grazie a questa norma le Bcc hanno “risparmiato” 500 milioni di capitale regolamentare che si traduce, a seconda della leva, in una capacità di credito potenziale da 10 a 20 volte».
Se si estende il criterio all’intero sistema bancario italiano, l’effetto è di svariati miliardi di euro.
Il direttore generale dell’Abi e presidente della Federazione bancaria europea, Giovanni Sabatini, riconosce l’importanza di rendere permanente l’Sme supporting factor «che noi abbiano chiesto con forza». Ma aggiunge: «Bisognerà approfondire, tuttavia se poniamo questo aspetto positivo su un piatto della bilancia e sull’altro ci mettiamo le altre misure come quelle sul leverage ratio, il Mrel, il Tlac, la liquidità, allora l’ago pende verso un ulteriore inasprimento delle richieste di capitale imposte alle banche, in un momento in cui la ripresa è ancora fragile e il contesto internazionale non è facile».
Per le banche più piccole e in particolare per le cooperative c’è comunque qualche motivo di soddisfazione in più. In particolare viene applicato il principio della proporzionalità alle regole sulle retribuzioni dei manager e sulle politiche dei bonus. La Commissione ha riconosciuto che le norme introdotte tre anni fa non hanno molto senso per le banche più piccole e per i bonus di modesta entità, che dunque vengono esentati. Una messa a punto è stata prevista anche per le regole sul pagamento dei bonus in azioni, ma questo riguarda solo le banche quotate.
«In generale per noi si tratta di un piccolo passo positivo – commenta sempre Gatti – perchè la riforma prende in carico la questione della proporzionalità, anche se ancora in termini dimensionali senza considerare anche criteri qualitativi e “vocazionali”. Resta un approccio “caso per caso” che rinvia alla discrezionalità del supervisore. Sarebbe importante, invece, andare verso un modello di norme che nascono diverse per categorie di banche diverse, come negli Stati Uniti. Il 2017 sarà l’anno della manutenzione delle regole bancarie europee e bisognerà lavorare per ottenere qualcosa di più».
L’obiettivo, dunque, è riuscire convincere Europarlamento e Consiglio che vale la pena apportare qualche modifica alla proposta della Commissione.
Giuseppe Chiellino