Libero, 24 novembre 2016
«Renato non sapeva nulla». Ma più che arrabbiato è orgoglioso della moglie. Intervista a Tommasa Giovannoni Ottaviani
Eccola qui la punta di diamante della Casaleggio e Associati. Eccola la bandiera della «comunicazione ufficiale M5S». Ecco il misterioso «account non casuale che si muove dentro quella che è configurata una struttura». Signori, ho davanti a me Beatrice di Maio, lo pseudonimo twitter che ha fatto perdere le staffe a Matteo Renzi, che ha provocato una denuncia per diffamazione dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luca Lotti. È forse all’attenzione della polizia postale, sparita dalla rete ieri perché ha sospeso il suo account. L’ha fatto dopo che le ho mandato un messaggio privato su twitter, al termine di una lunga ricostruzione, di decine di testimonianze raccolte e ovviamente della soffiata giusta ricevuta. «Cara Bea (non so se il tuo vero nome è questo, o Tommasa o altro...). Mi piacerebbe sentirti...». L’intuizione era giusta. A quel punto ho cercato e trovato la persona che immaginavo si nascondesse dietro quel nome. Non ha 25 anni, ma essendo una bella donna non ha età. E ovviamente non gliela chiedo. Eccola.
Beatrice di Maio, quale è il suo vero nome?
«Tommasa Giovannoni Ottaviani, donna e mamma di due ragazzi. Arredatrice di interni...».
Aggiungo io, Tommasa detta Titti. E il nuovo cognome che ha: Brunetta. Titti la moglie di Renato Brunetta...
(Risata) «Sì, ma lui non c’entra con questa storia. Non ha mai saputo nulla di quello che facevo. Ho deciso da sola di entrare su twitter, di usare ovviamente un nick name...».
...Di Maio, il cognome di Luigi Di Maio che molti militanti hanno adottato da tifosi...
«A dire il vero l’avevo scelto casualmente, e quando nell’aprile 2015 ho aperto il mio account twitter, non c’erano tanti Di Maio in giro. Ho usato quel cognome perché mi ricorda una persona cara».
Bene, adesso sappiamo che lei non era in cima a quella spectre messa in piedi da Beppe Grillo e dalla Casaleggio associati. Sono circolate evidentemente un po’ di sciocchezze. Lei è grillina?
«Ho le mie idee. Non sono una militante del Movimento 5 stelle, non conosco nessuno personalmente. Ho fatto amicizia virtuale con tanti, e altre persone che avevano idee simili. Quello che pensavo ho scritto, sempre con ironia. Molte volte si trattava di battute, di satira, con la libertà tipica della rete. Non ho giocato, ero io con il mio animo, le mie passioni politiche, il mio impegno civile e i miei rapporti di affettività. Io sono Bea e porto nel cuore questa esperienza...».
Lei la porta nel cuore, ma Lotti la porta in tribunale...
«Ho fatto una battuta sarcastica, paradossale. Se Lotti si è sentito offeso, mi dispiace e me ne scuso. Ho letto il suo appello, dott. Bechis, al presidente Matteo Renzi sulla libertà di satira, e la ringrazio. Come ringrazio Beppe Grillo per averlo condiviso sul suo blog. Grazie per la solidarietà che mi avete dato senza sapere chi fossi».
Pensavo Bea fosse una ragazzina, e così mi avevano raccontato molti che l’avevano conosciuta virtualmente. Ma l’appello sulla libertà di pensiero e di satira lo farei per chiunque: non credo sia mai il tribunale il luogo dove discutere di questo...
«Grazie, ma devo aggiungere che questa denuncia mi dispiace anche per un altro motivo. Che io Bea debba tacere, pazienza. Da quel giorno però sono tante le Bea che avrebbero voluto scrivere, fare battute, esprimere le loro opinioni in libertà, e non l’hanno più fatto. Hanno paura di essere messe nel mirino come me, me lo hanno confidato anche in privato. Mi dispiace per questo silenzio e queste briglie alla libertà della rete che il mio caso sta provocando. Io sono l’ultimo dei problemi: se il dott. Lotti vorrà andare avanti con la causa, andrò in tribunale e mi difenderò».
Titti, quando ha rivelato a suo marito di essere Beatrice di Maio?
«Qualche sera fa, eravamo davanti alla tv io e Renato. Stavamo vedendo Enrico Mentana che nel suo tg stava facendo vedere una foto dei tweet di Beatrice di Maio. Raccontava che il M5S diceva di non saperne niente e faceva un appello a Bea di venire fuori, rivelare la sua identità. A quel punto ho guardato mio marito e gli ho detto: “Amore, ti dovrei dire una cosa...”. C’era una signora a tavola con noi, e non volevo farlo davanti a lei. Ho trascinato Renato in camera e ho confessato: “Beatrice di Maio sono io”».
A questo punto racconto io cosa è accaduto, perché ho parlato anche con il marito. Lui ovviamente è trasecolato. Gli sarà andato di traverso il pasto, ma non lo dice. Anzi, la difende a spada tratta: «La libertà è personale. Titti ha le sue idee e la sua vita. Talvolta coincidono con le mie, altre no. È l’amore della mia vita. Avrei mai potuto arrabbiarmi? Io poi di queste cose capisco poco, non sono smanettone. Lei faceva due o tre tweet al giorno, quasi sempre ironici. È una sua virtù sapere sorridere qualche volta anche con amarezza. Sa fare anche le imitazioni benissimo, ed è uno spasso ascoltarla. Anche io uso la rete, ma come comunicazione politica. Non ho la sua leggerezza. Lei è più brava di me».
Titti, adesso come la mettiamo con la macchina del fango virtuale che aveva Bea a capo?
«Ha scoperto chi sono, e quindi quella macchina del fango non esiste. Anche l’episodio per cui vengo querelata il mio commento ironico e satirico alle intercettazioni telefoniche del caso Federica Guidi in cui si diceva che sarebbero saltate fuori le foto di Delrio con i mafiosi era su tutti i giornali, oggetto di titoli e di centinaia di tweet molto più pesanti del mio...».
Ma hanno querelato lei, non gli altri. Forse intuivano chi si celava dietro il suo account.
«No, a questo non credo proprio. Sarà stato un caso. Non sapevano che dietro Beatrice di Maio ci fossi io. E comunque sono io, e basta. Dalla querela mi difenderò con un avvocato mio, e vedremo come andrà».
Lo dice con serenità.
«Serenità? Macché. Sono arrabbiatissima e tesissima. Uno per la violenza con cui vengo attaccata quotidianamente da giornalisti che aizzano tutta la rete. E soprattutto per il fatto che questa cosa ha silenziato tantissimi profili come il mio. Mi dispiace tantissimo per tutte quelle Beatrici di Maio che non scrivono più».
E se avessero saputo la sua vera identità? Anche i suoi seguaci probabilmente si sarebbero dileguati...
«Direi che non sono l’unico nickname sulla rete, no? In realtà non ho barato. Io sono una persona normalissima, una cittadina come tutti gli altri. È quel che ho espresso e detto sono io. Amo tantissimo le persone. Ho fatto amicizia e ho trovato delle persone straordinarie».
Loro però si vedevano una foto di una ragazza giovane con il volto nascosto dietro un cartello dove c’era scritto «Io voto no».
«Bella quella foto, no? L’ha scattata mio figlio a una ragazza. Sono molto orgogliosa di quella foto. Ma soprattutto di ogni cosa che ho scritto. Ho le mie idee, non c’entrano con mio marito. Bea era il mio impegno civile. Ho sbagliato su Lotti? Chiedo scusa, e se dovrò risponderne, ne risponderò».
E ora? Che dirà a tutti quelli che l’hanno seguita credendola una ragazza di 25 anni?
«È la cosa che mi addolora di più. Ho conosciuto tante persone deliziose, perbene, che amo davvero. Sono stata sincera con loro. Ora che viene fuori la mia identità crederanno che io li abbia traditi. Non è così, Bea ero davvero io come sono. E sono a pronta a difendere la loro libertà più di me stessa, qualunque cosa pensino di me. E porterò io in Tribunale il giornalista che mi ha diffamato costruendo tutto questo assurdo teorema». Franco Bechis
Si spaccia per grillina e attacca i rivali del marito
Il suo primo cinguettio è stato l’11 aprile 2015. Quel giorno, poco dopo le 3 di pomeriggio, è nata su twitter Beatrice di Maio, con l’account @BeatricedimaDi. Tre o quattro cinguettii al giorno, e ben presto si è ritagliata il suo spazio sul web. Ha iniziato con una sorta di rassegna stampa fra l’ironico e il sarcastico, commentando con una battuta, con vignette o foto notizie altrui. Un anno dopo il 7 aprile 2016 è arrivato il cinguettio della discordia, che ha causato la querela del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti. I giornali avevano pubblicato intercettazioni dall’inchiesta sull’allora ministro dello Sviluppo Francesca Guidi e il fidanzato, Gianluca Gemelli. Il testo era questo: «#intercettazioni, #Guidi : “Ho le foto di #Delrio coi mafiosi”». Sotto un combo di 4 foto: Delrio con Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, Delrio con Renzi, Delrio che abbraccia Lotti e Delrio che bacia la Boschi. Una battuta sarcastica. Con un errore: la frase era testuale, non l’aveva pronunciata la Guidi, ma un suo consulente al ministero, Valter Pastena. È uno degli elementi della querela presentata dall’avvocato Alberto Bianchi per conto di Lotti. A palazzo Chigi quell’account era monitorato da tempo «in quanto diffamatorio di Renzi», e quell’intenzione di querelare per essersi sentito dare del mafioso era stata manifestata a gran parte dei colleghi che lavorano con lui da Lotti a inizio estate. Deciderà il giudice se la querela è tardiva o meno. Non essendo a conoscenza di quella attenzione particolare, però ogni giorno Beatrice di Maio ha continuato a pubblicare i suoi tweet dissacranti. Talvolta lievi ed ironici, altre con veri commenti politici tranchant. Aveva successo di pubblico: ogni battuta veniva apprezzata da 50-100 persone, e rimbalzava su centinaia se non migliaia di account. In privato scambiava messaggi su twitter e su chat in whatsapp con altri militanti grillini in carne ed ossa. Ne abbiamo visto qualcuno. Racconti personali, commenti, qualche indizio sfuggito: «Appartengo a una famiglia di destra assai vicina a Berlusconi».
Questo fino al silenzio che abbiamo provocato noi, mettendoci sulle sue tracce. Chi diceva di averla conosciuta ce l’aveva descritta come «una ragazza di 25 anni, minuta, bellina e con i capelli neri». In un articolo la sintetizzammo così: «una brunetta di 25 anni». La rassegna stampa portò quel pezzo sulla scrivania di Renato Brunetta, che il giorno prima aveva ricevuto la confessione della moglie Titti: «sono io Beatrice di Maio». Una sorta di Elena Ferrante del web. I coniugi si guardarono negli occhi, e pensarono che con quel riferimento alla «brunetta», li avessimo scoperti. Non è stato difficile arrivare a casa Brunetta attraverso gli indizi. Quando martedì abbiamo telefonato per avere conferma, non c’è stata resistenza, ed è nata l’intervista pubblicata qui.
Fosca Bincher