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 2016  novembre 23 Mercoledì calendario

Tardelli urlo per il Sì. Rossi e Conti indecisi. Così vota l’Italia Mundial

ROMA Dice Antonio Cabrini, meno bello di allora: «Salvammo il governo Spadolini che traballava. Erano anni difficili, anni di piombo. L’Italia rialzò la testa». Risponde il collega di reparto, Beppe Bergomi: «Antonio esagera un po’. Ma è vero che il calcio fa miracoli. Quando rotola un pallone diventiamo tutti bambini. Ieri ero alla presentazione di un libro. C’erano megadirigenti, autorità. Parli di calcio e gli occhi brillano».
Sono passati 34 anni, gli eroi del Mundial ‘82 vanno a votare per il referendum costituzionale. Lo Zio Bergomi non ha più i baffoni, ma è l’idolo dei ragazzini che si nutrono di Sky e partite. Cabrini ha meno capelli. Dino Zoff è sempre la quercia saggia: «Non sono affatto indeciso, ma non le dico come voterò. Le carrellate di traino mi disgustano». Giancarlo Antognoni, a gennaio, torna alla sua amata Fiorentina da vicepresidente ed è amico di Renzi, per cui... Paolo Rossi è appena rientrato dal Messico dove è per sempre Pablito, il capocannoniere di quella Coppa del Mondo. Per sempre, e non solo lì. Fulvio Collovati ora ragiona da imprenditore e dice Sì: «Tagliano solo duecento poltrone? Pensavo di più». Bruno Conti, l’indimenticabile Marazico ossia un mix tra i fenomeni Maradona e Zico, dribbla anche adesso: «Devo riflettere. Mi metta tra gli indecisi».
Pablito non si fa illusioni: «In Italia cambia sempre poco. Dove ci mettono un anno, a noi ne servono dieci. Nel ‘75, quando viaggiavo da Vicenza a Roma in auto, era un’avventura attraversare gli Appenini. Ci sono voluti 4 decenni per fare un valico decente». Il calciatore che visse i suoi 15 giorni di grazia al momento giusto nel posto giusto, davanti al mondo, spiega di «non essere ancora convinto. L’innovazione, il miglioramento, un’Italia più snella sono degli ottimi obiettivi. Semmai mi sembra che Renzi sia troppo accentratore. Non è un voto pro o contro di lui. C’è un sistema che propone qualcosa, non un solo uomo. E penso che la personalizzazione lo danneggi». Marco Tardelli invece non ha dubbi e mette a disposizione il marchio di fabbrica, l’esultanza del gol alla Germania, in finale. «Rifarei il mio urlo per il Sì. Farà bene all’Italia e sicuramente consentirà di cambiare qualcosa nel nostro Paese». Bergomi pensa, ragiona e non chiederà l’ultimo consiglio a Fabio Caressa, con il quale compone la coppia d’oro dei telecronisti. «Ne parlavo a cena con mia moglie e mio figlio, l’altra sera. Loro votano No al 100 per cento. Mio figlio ha 21 anni, va all’università, segue la politica. È straconvinto. Io meno. Andrò a votare, mi informerò con la tv e il web. Deciderò». Però uno con quella personalità a 18 anni (tanti ne aveva nel 1982), ha alcune idee ben chiare. «Non è giusto pensare che sia un voto su Renzi. Non baserò la mia scelta sul premier. Non mi piace nemmeno il ricatto della catastrofe. La Brexit è un disastro, Trump è un disastro, se vince il No è un disastro. Forzature». In Spagna Bergomi era in stanza con Giampiero Marini, senatore azzurro: «Lui e Zoff discutevano di politica. Gli altri meno. Oggi mi interesso anch’io. Ci sono sensibilità diverse, tutte rispettabili. Ma non mi venite a dire che da una parte ci sono populisti e xenofobi, dall’altra solo i buoni».
Forse il “Bell’Antonio” Cabrini non vota, «sarò all’estero». Ma sa cosa fare nell’urna. «Ho scelto e lo tengo per me», taglia corto. «Una cosa posso dirla: chi va a votare su Renzi fa una stupidaggine, meglio che resti a casa. Tutti hanno la possibilità di farsi un’opinione sulla riforma. Navigate su Internet e capirete. Certo, vedo una campagna elettorale incarognita...». Giancarlo Antognoni, bandiera della Fiorentina, lo dice chiaro: «Sono tifoso di Renzi. Un suo amico. E io ero il suo idolo in campo. La conoscenza aiuta. Voto Sì per il futuro dei figlioli e speriamo sia la volta buona». Vede pochi dibattiti in tv, «ma Matteo è sempre là scherza -. Parecchio presente, difficile non incrociarlo con il telecomando in mano».
Accanto a Gaetano Scirea, che non c’è più, marcava Collovati. «Vengo da una famiglia democristiana, ma il centro non esiste più. Voterò assolutamente Sì, mi basta la motivazione del taglio dei costi. Attenzione però: il mio voto non ha un colore politico, non è legato a Renzi. Le spese vanno ridotte davvero, ormai è una misura di buon senso».
All’appello manca qualche azzurro di quella Nazionale straordinaria, allenata da un hombre vertical come Bearzot, capace prima di dividere un Paese (Italia-Camerun, il silenzio stampa) e poi di farlo sognare (le braccia di Zoff con la Coppa, la partita a scopone con Pertini sull’aereo presidenziale, le piazze in festa). Lele Oriali, il mediano cantato da Ligabue, oggi team manager della Nazionale, ha voglia di rispondere, ma la Federcalcio non lo autorizza. Ciccio Graziani e Claudio Gentile sono introvabili.
Per un’intera generazione gli azzurri del Mundial furono il simbolo dell’Italia unita dopo un periodo buio, quel giorno cominciarono i controversi anni ‘80, molto rivalutati. Il Paese si rispecchiò in una squadra epica. Adesso sono i campioni del mondo a riflettere gli umori di un popolo. Le paure, le speranze, i dubbi. Prima del 4 dicembre.