Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2016
Petrolio, si prepara il ciclo rialzista
Le oscillazioni del barile di più e meno 5 dollari sotto la soglia dei 50 testimoniano il nervosismo all’avvicinarsi della riunione semestrale dei Paesi Opec, il prossimo 30 novembre.
Con un eccesso di ottimismo, quella informale del 29 settembre scorso aveva dato ormai per concluso un accordo per ridurre, o meglio congelare, la produzione a un tetto fra i 32,5 e i 33 milioni di barili giorno, contro una produzione che nel frattempo è continuata a salire, altri 300mila barili giorno al nuovo picco storico di ottobre di 33,8 milioni barili giorno. È enorme lo squilibrio fra litigiosità dei singoli membri e benefici che ne potrebbero ottenere, con uno sforzo relativamente contenuto. Il taglio, per arrivare all’interno della soglia annunciata, sarebbe dell’ordine di un milione barili giorno, il 4% dell’attuale produzione Opec.
Dall’inizio del 2014, quando i prezzi erano sopra i 100 dollari, la produzione è aumentata di 3,8 milioni di barili giorno, 13% in più. Dal 2009, quando le quotazioni raggiunsero i 140 dollari, la produzione è salita di 4,8 milioni, il 17% in più. Sono queste le cifre su cui stanno lavorando gli unici che possono ridurre, Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi Uniti. Gli altri, per una ragione o l’altra, non faranno riduzioni. L’Iran ha ormai affermato la sua linea, quella di tornare al livello pre-sanzioni di 4 milioni, contro gli attuali 3,9.
Importante è che il lento riavvicinamento con i sauditi, la vera forza che può forgiare l’accordo, non è andato compromesso nelle ultime settimane. Anzi, l’atteggiamento duro del nuovo presidente Trump e le elezioni presidenziali della prossima primavera suggeriscono più concretezza a Teheran. La complicazione arriva dall’Iraq, dove i successi militari nel Nord contro l’Isis hanno spinto Baghdad ad usare la scusa della guerra per chiedere di essere esentati da limiti alla produzione.
Questa viaggia a 4,8 milioni barili giorno, seconda solo a quella dei sauditi, e livello ben al di sopra dei 3 milioni su cui si era assestata negli anni ’80. È dal 2 agosto del 1990, quando Saddam Hussein invase il Kuwait, che l’Iraq non partecipa al sistema delle quote. Fuori dal Medio Oriente, il Venezuela è talmente disperato che accetterebbe qualsiasi riduzione, cosa che farà semplicemente stando fermo, perché nei suoi giacimenti le pressioni stanno calando, per carenza di investimenti. La Nigeria, è in condizioni ancora più difficili, per i continui attacchi della guerriglia alle strutture petrolifere. La Libia, Paese dissoltosi dopo la caduta di Gheddafi del 2011, ha una produzione che è intorno a 0,6 milioni, meno della metà dei suoi livelli normali, ma difficilmente potrà salire nei prossimi mesi, anche in condizioni di maggiore stabilità, oltre 0,7 milioni.
Chi si farà carico di gran parte del calo sarà, come al solito, l’Arabia Saudita, anche lei a record storici di 10,6 milioni barili giorno. I sauditi e i loro stretti alleati, Kuwait e Emirati, producono 16,5 milioni barili giorno. Solo loro, con un 10%, potrebbero far tornare in poche ore i prezzi del greggio a 100 dollari, ma vogliono un impegno da parte di tutti, perché hanno paura di perdere quote di mercato. Quello che serpeggia da anni in Medio Oriente, e in particolare a Riad fra i giovani principi, è il timore che presto il petrolio non servirà più a molto, spazzato via dall’innovazione dell’auto elettrica, portata dall’uomo che promette il viaggio – di sola andata – su Marte, Elon Musk della Tesla.
Pochi giorni fa anche l’International Energy Agency, nonostante sia organo politico dei consumatori e preveda un’irrealistica espansione dell’auto elettrica, ha confermato che i consumi petroliferi continueranno a salire fino al 2040. La regola, che dura da 40 anni, da quando il petrolio è diventato la prima commodity del mondo, è che ogni anno i consumi aumentano di 1-1,5 milioni di barili al giorno e l’offerta si adegua, più o meno velocemente. Se cresce più la domanda, come accaduto con l’arrivo della Cina dopo il 2000, i prezzi schizzano verso l’alto, se sale di più l’offerta, come nel 1998 o nel 2014, i prezzi crollano. È questo gioco al margine, che coinvolge non più del 2% della produzione mondiale, che disegna il corso dei prezzi. Ora siamo in un momento di offerta che è cresciuta troppo, ma tutto si sta preparando per il prossimo ciclo rialzista che, probabilmente, inizierà fra qualche giorno.