Il Messaggero, 23 novembre 2016
Mafia Capitale, i dubbi del Ros Carminati: io ricco per il caveau
ROMA Per la prima volta in vita sua, Massimo Carminati rivendica. In aula, nel corso del processo Mafia capitale, parla della rapina dai mille misteri al caveau della banca del tribunale di Roma nel 99. E ammicca: «Sì è vero c’erano tanti documenti, ma ho preso pure qualche soldo», come a dire che sì, quei documenti che secondo alcuni l’hanno reso per anni intoccabile nelle cassette di sicurezza c’erano davvero. Le sue parole, riferite all’unico caso per cui sia stato effettivamente condannato, arrivano nell’aula bunker di Rebibbia in una giornata dalle mille sfaccettature per la principale inchiesta degli ultimi anni sui fatti della capitale. Pochi minuti prima che Carminati prendesse la parola, un ufficiale del Ros che ha seguito l’inchiesta fino agli arresti, pur sottolineando che il suo reparto si è occupato di appalti e non dei reati di criminalità, ha ammesso che nel corso delle sue indagini avvenute tra il 2012 e il 2013 non ha riscontrato episodi di violenza o intimidazione comunemente ascrivibili ad un’organizzazione mafiosa. E, in serata, Luca Odevaine ha per la prima volta lasciato i domiciliari: d’ora in poi, l’uomo considerato il simbolo della presenza della criminalità ai massimi vertici dell’amministrazione pubblica che è già stato costretto a patteggiare e restituire 250mila euro, sarà obbligato a sottoporsi alla firma in Questura tre volte a settimana ma potrà uscire di casa, anche se il processo che lo vede imputato di corruzione aggravata ovviamente prosegue.
GLI INVESTIGATORI
Per la difesa di Massimo Carminati, l’udienza di ieri ha segnato almeno un punto a favore. In aula sono intervenuti i due ufficiali del Ros che per primi avviarono le indagini su Mafia Capitale. Il primo, Massimiliano Macilenti, ha specificato che l’inchiesta è effettivamente partita da una delega di indagine arrivata nel 2010: «La procura ci chiedeva di indagare su un gruppo che comprendeva Luigi Ciavardini e altri esponenti dell’estrema destra romana con l’ipotesi che assieme a Carminati fossero impegnati in un giro di rapine» così smentendo l’ipotesi avanzata dagli avvocati Giosuè e Ippolita Naso che le indagini nei confronti del Nero fossero state avviate a tavolino su elementi deboli e risalenti nel tempo. Più favorevole alle difese la testimonianza di Francesco De Lellis che all’epoca delle indagini si occupava delle verifiche sulla pubblica amministrazione: «Fino al febbraio del 2013 non ho riscontrato episodi di stampo mafioso contro la pubblica amministrazione», ha spiegato. In tema di appalti l’ufficiale ha affermato come non gli risultasse che Buzzi avesse usato «metodi intimidatori per ottenere gli appalti o minacciato gli altri concorrenti delle gare», ma ha anche sottolineato che ad «occuparsi dell’aspetto mafioso» era un altro reparto. Carminati aveva comunque un ruolo di primissimo piano nel giro societario di Salvatore Buzzi: «L’ex Nar era di fatto un socio occulto- ha spiegato il maggiore -, stavano al 50%: loro quando parlavano non distinguevano tra le varie coop, Quando Buzzi diceva stiamo al 50% non lo faceva in riferimento a un singolo appalto». Un passaggio importante, a questo punto, sarà l’audizione del sottosegretario con delega all’intelligence, Marco Minniti prevista per dicembre.
IL FURTO
Dopo le deposizioni degli investigatori, è Carminati a voler parlare. La procura ha depositato una perizia interamente dedicata agli 89 quadri per un valore complessivo di cinque milioni di euro trovati a casa sua, ai quali ne andrebbero sommati altri cinque contando i numerosi falsi: «Tutti girano intorno alla mia disponibilità economica – dice lui riferendosi alla rapina del 99 a piazzale Clodio – È ovvio quale sia la mia disponibilità economica dal 2002. Se c’erano tutti questi dubbi che io avessi partecipato al furto al caveau, potevano dirlo prima così mi assolvevano. Invece sono stato condannato. È vero, c’erano molti documenti forse, ma fra un documento e l’altro ho preso pure qualche soldo».