La Stampa, 23 novembre 2016
Mps, i soci veneti dicono addio
Per la prima volta dal 2009 le quote di Sipi Investimenti e Rete spa non saranno presenti all’assemblea di Mps. Non saranno determinanti: secondo le indiscrezioni ieri sera è stato raggiunto il quorum, con circa 23% di azionisti registrati. Ma loro, i soci veneti di Monte dei Paschi raccolti nei veicoli Sipi e Rete, ci tenevano a dare un segnale di fine corsa. La quota delle due società è l’eredità della sciagurata fusione con Antonveneta. Si tratta di circa lo 0,4%, raccolta intorno al «salottino buono» del Nord Est. Ovvero, quella Finint che vive una fase agitata della sua storia a causa del conflitto tra i due fondatori, Enrico Marchi e Andrea De Vido.
Il rapporto con Mps non ha dato grandi soddisfazioni. Ai tempi, Marchi era entrato nel cda dell’Antonveneta «senese». La quota avrebbe dovuto arrivare al 3% ma si è fermata molto prima. È stabile dal 2009 e ha scontato il crollo del titolo e i ripetuti aumenti di capitale, ai quali le due società hanno sempre partecipato. Al costo storico, la quota di Rete spa – dove con Finint ci sono, con quote di minoranza, The Nice Group e Alessandro Banzato di Acciaierie Venete – valeva 30,9 milioni di euro. Ad aprile di quell’anno le azioni, tenendo conto degli accorpamenti, valevano tra 22 e 25 euro. Ieri hanno chiuso a 0,21 euro, 100 volte meno. A questo vanno aggiunti gli aumenti di capitale, che hanno visto la fedele partecipazione delle due società. Il risultato è stato un bagno di sangue al quale, nei mesi scorsi, Finint e soci hanno deciso di porre fine. E con l’ultimo bilancio di Rete, chiuso il 30 giugno scorso, hanno svalutato tutto ai valori di mercato del titolo (che era in carico a 1,6 euro nel bilancio precedente): pulizia generale e addio a Siena. Iniziando appunto dalla mancata presenza all’assemblea di domani. All’assemblea mancheranno anche una serie di fondi esteri, che nelle ultime assemblea si erano registrati sempre numerosi per l’assemblea. Un anno fa, nel settembre del 2015, i fondi internazionali avevano portato in assemblea il 27% del capitale, con il 41% del totale presenta in assemblea. Ad aprile di quest’anno, con oltre il 31% del capitale presente, i fondi portarono il 22%. Domani, complice il clima d’incertezza intorno alla banca, saranno molti meno. Ma abbastanza comunque da garantire il quorum del 20% necessario per rendere valida l’assemblea. Tenendo conto anche del 10% circa in mano ai soci «forti»: ministero del Tesoro, Axa, Fintech e Falciai.
I vertici dell’istituto stanno intanto lavorando agli ultimi passaggi in vista di domani. Tra i nodi c’è l’allargamento al Fresh del 2008 del piano di conversione volontaria dei bond. L’impatto sul capitale è minimo (l’80% è già conteggiato nel patrimonio di base) ma ritirarlo eviterà alla banca di pagare ricche cedole quanto tornerà profittevole. Oggi l’istituto dovrà anche rispondere alle richieste d’informazione della Consob, che ha chiesto di diffondere la mercato una serie di chiarimenti sulla complessa operazione di messa in sicurezza che l’istituto si appresta a varare.
Sul piano però più che l’assemblea sembra essere il referendum costituzionale. «Se l’esito del referendum fosse indifferente – ha detto il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti – gli stranieri investirebbero tranquillamente su Mps e le due banche venete, invece non investono».