La Stampa, 23 novembre 2016
Pechino esulta e alza la posta: intesa regionale senza gli Usa
«Senza gli Stati Uniti il Tpp non ha alcun senso» ha dichiarato subito il premier giapponese Shinzo Abe. E ha ragione. Perché sia ratificato, bisogna che almeno sei dei Paesi partecipanti costituiscano l’85 per cento del pil combinato degli Stati membri.
Campo libero alla Cina, dunque, che ha già rilanciato con una contromossa. Un’alternativa di cui fino ad oggi si è sentito parlare troppo poco: il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), un accordo commerciale che comprende Australia, Nuova Zelanda, Cina, Giappone e altre 12 nazioni asiatiche. E che esclude, non a caso, gli Stati Uniti. Un’iniziativa storicamente promossa da dieci Stati membri dell’Asean che il vice ministro degli Esteri cinesi Li Baodong ha subito riproposto sottolineando come ci sia bisogno di «mettere a punto un nuovo piano che sia pratico e che risponda positivamente alle aspettative delle industrie e stabilisca al più presto un’area di libero commercio nell’area Asia-Pacifico». Vietnam, Filippine e Malaysia hanno già comunicato che stanno guardando con interesse al gruppo pensato da Pechino perché, e qui il ministro del Commercio malesiano è quasi esplicito, «la situazione economica internazionale è incerta».
Secondo quanto dichiarato al «Wall Street Journal» da Zhou Zhengfang, economista dell’Università del popolo di Pechino, questa sarebbe «un’ottima occasione per la Cina per acquistare più potere e, partendo dall’economia, arrivare ad avere una voce più potente nel palcoscenico internazionale». In effetti non sono passati che pochi giorni da quando, all’Apec di Lima, il presidente cinese Xi Jinping ha chiamato gli Stati presenti a «rimanere fedeli e a continuare a perseguire la globalizzazione» proponendosi, di fatto, come leader garante del commercio internazionale, globalizzazione compresa. E il Rcep potrebbe proprio essere l’alternativa già esistente da implementare. Potenzialmente tiene insieme il 45 per cento della popolazione mondiale e il 40 per cento degli scambi commerciali. E il presidente vuole aprirlo anche ai Paesi dell’America Latina. Nel 2015 Pechino ha superato gli Usa come primo investitore straniero e principale destinazione dell’export sudamericano.
Secondo il professore di Scienze politiche Jean-Pierre Cabestan, intervistato da Bloomberg, «la Cina si sta avvantaggiando ad ogni affermazione di Trump» diventando sempre più eticamente e politicamente appetibile agli occhi del mondo. Soprattutto in Asia. L’ipotesi che gli Stati Uniti facciano un passo indietro nel «pivot to Asia», ovvero la strategia obamiana di accerchiamento della Cina nel Pacifico, alimenta l’orgoglio della seconda economia mondiale e allo stesso tempo allontana dal suo competitor i suoi alleati che si vedono mettere in discussione anche lo storico supporto finanziario e militare americano. Un’ipotesi che permetterebbe alla Cina di espandersi senza tante polemiche in quello che ritiene a tutti gli effetti «il proprio cortile»: il Mar Cinese Meridionale.