La Stampa, 23 novembre 2016
Nuovo Senato, il punto oscuro degli «eletti»
Il meccanismo di scelta dei senatori è quanto di meno limpido ci sia nella nuova Costituzione: non a caso, i sostenitori del No battono molto su questo tasto. Da una parte, la riforma fa intendere che i membri del Senato verranno individuati tra i consiglieri regionali e i sindaci, dunque tra quanti già risultano eletti, senza bisogno di scomodare il popolo sovrano. Funziona così anche in Germania e in Francia, l’«elezione di secondo grado» o «indiretta» di per sé non rappresenta uno scandalo. D’altra parte, però, il nuovo articolo 57 contiene una frase contorta (o volutamente ambigua). Vi si dice che i senatori verranno selezionati «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri». Cosa significa? Magari nulla di che. O forse può essere uno spiraglio per qualche forma di elezione diretta dei senatori, contestuale a quella dei consiglieri regionali, come insiste a chiedere la minoranza Pd. Nemmeno i cosiddetti esperti hanno le idee chiare in proposito. Di sicuro, una volta approvata la riforma, ci vorrà una legge specifica per chiarire meglio come funziona il meccanismo. Successivamente ogni Regione dovrà adattare la propria normativa elettorale a quella nazionale, insomma prepariamoci a una trafila non facile né breve.
Altro punto interrogativo: in che modo verranno ripartiti i senatori tra le varie regioni? Qui la Carta è meno oscura, il numero dei seggi sarà proporzionale al numero dei rispettivi abitanti, e dovrà essere proporzionale pure rispetto agli orientamenti politici. Nello stesso tempo si prevede che ogni Regione, pure la più piccola, abbia non meno di due seggi a Palazzo Madama. Conti alla mano, le Regioni con due seggi saranno alla fine una decina, e questo può creare un ulteriore problema, perché ormai in Italia ci sono tre grandi aree politiche, dunque una di queste verrà sacrificata. Ma non è detto che sia un male.