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 2016  novembre 22 Martedì calendario

In aula coi cellulari. «Più lezioni digitali così i ragazzi imparano meglio»

VARESE Gli apparecchi del laboratorio wireless ricordano i vecchi walkman: c’è un’uscita audio, le cuffiette, dei tasti, una postazione. Il tutto collegato coi cellulari dei ragazzi. «Li tengono sul banco, come l’astuccio» dice Maria Talamona, docente di italiano e storia e “animatrice digitale” (la nuova figura di coordinatore tecnologico prevista dall’ultima riforma scolastica). «In media il telefonino si usa una o due volte ogni ora di lezione: per cercare delle immagini, per registrare o riassumere la spiegazione dell’insegnante, per fotografare un testo o quello che è scritto sulla classica lavagna di ardesia perché la Limu – la lavagna interattiva multimediale – non sempre basta per tutti. Il risultato? I ragazzi sono contenti, e noi lavoriamo meglio».
Se siete convinti che il cellulare in classe sia solo fonte di distrazione per gli alunni e fastidiosa scocciatura per chi sta dietro la cattedra; se pensate che se uno armeggia al banco con la tastiera dello smartphone altro non stia facendo che chattare imprudentemente su Fb, o cimentarsi con un giochino, allora venite a Varese, e magari vi ricredete. Sì, lasciare il telefono in mano agli studenti in classe «si può fare», per dirla con le parole dell’animatrice digitale. Anzi: si deve. Altro che censura e note disciplinari, basta con l’obbligo di seppellire gli apparecchi negli zaini. Alla scuola media Vidoletti e al liceo artistico Frattini di Varese hanno deciso di andare contro corrente e sfatare il luogo comune. Trasformare il cellulare da arma di disturbo a strumento didattico. «Non demonizziamo il telefono – ragiona il preside del liceo, Fabio Giovanetti –. Insegniamo ai ragazzi a farne un uso corretto, consapevole e proficuo». I due istituti – 960 e 600 alunni – sono uno di fronte all’altro: molti degli studenti che escono dal primo si iscrivono al secondo. «È un “regolamento” che abbiamo deciso di adottare, in condivisione coi genitori». Alla base di tutto c’è questo acronimo: Byod (Bring your own device). È un nuovo metodo didattico (previsto dal Piano nazionale per la scuola digitale) che prevede l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le lezioni. Scarichi la lezione di inglese, visualizzi un testo di storia, la foto di un quadro, prendi appunti. Ti segni sul telefonino, a mo’ di diario, i compiti da fare a casa. «Sdoganare il cellulare in classe significa educare gli studenti all’uso che se ne deve fare a scuola – spiega Antonio Antonellis, preside della Vidoletti –. Solo a scopo didattico. Viceversa, se ne becchiamo uno che lo usa per altro, che ci gioca o filma i compagni di classe o posta su Fb, scatta il ritiro del telefono». In principio il “cellulare scolastico” era un modo per aiutare gli studenti con disturbi dell’apprendimento (al Frattini sono il 20%): poi è stato allargato a tutti. Così, dopo i registri elettronici, sono nati i laboratori connessi, le lezioni digitali, la figura dell’animatore, l’utilizzo costruttivo dei gruppi classe di Whatsapp. «Con il cellulare la soglia d’attenzione dei ragazzi aumenta», chiosa Maria Talamona. «Li portiamo a noi e sono meglio disposti ad apprendere».