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 2016  novembre 22 Martedì calendario

La battaglia della destra

PARIGI Programma contro programma. Con l’eliminazione del più populista dei candidati, Nicolas Sarkozy, la battaglia tra François Fillon e Alain Juppé diventa una sfida sui contenuti, prima ancora che sullo stile.
Entrambi sobri, pragmatici, i due candidati che si affrontano nel ballottaggio delle primarie rappresentano anche due destre, ben distinte sia sulle proposte economiche che sulla visione della società.
Il reazionario e liberista Fillon si oppone così al moderato e statalista Juppé, ex favorito ora indietro di ben 16 punti rispetto all’outsider. I due candidati sono già ripartiti in campagna e si incontreranno giovedì sera per l’unico confronto tv, l’occasione per marcare le proprie differenze. Sullo sfondo, molti elettori del centrodestra si chiedono anche chi sarà il migliore tra i due per battere Marine Le Pen, la leader che è riuscita a sdoganare il Fn, allargandone paurosamente il consenso, e a imporre molti temi del dibattito politico.
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«Ma i giochi non sono ancora fatti la gauche torni ai fondamentali». Intervista a Marc Lazar
PARIGI Marc Lazar, professore di storia e sociologia a Sciences Po, la vittoria a sorpresa di François Fillon può condizionare la corsa per la candidatura a sinistra?
«Se confermato al secondo turno, come sembra quasi certo, è un risultato che modifica profondamente lo scenario politico per la sinistra. Sia François Hollande, sia Manuel Valls, speravano che il candidato fosse Nicolas Sarkozy. In questo caso, infatti, avrebbero potuto far leva sull’antisarkozysmo. Ora non sarà più così facile. Il candidato della sinistra dovrà tentare di posizionarsi come l’avversario del liberismo economico e del conservatorismo culturale di Fillon».
Si annuncia una campagna elettorale con differenze più marcate tra destra e sinistra?
«Come spesso succede in Francia durante le elezioni presidenziali riapparirà il vecchio antagonismo, almeno per il tempo della campagna elettorale. La sinistra dovrà tornare ai fondamentali, superando la divisione tra forza di governo e di contestazione».
Per Hollande la ricandidatura diventa più difficile?
«Tutti i sondaggi mostrano da mesi che i francesi non vogliono una ricandidatura né di Sarkozy né di Hollande. Ieri c’è stata una prima conferma. Hollande ha davanti un’equazione quasi impossibile. Se non si ripresenta, sarebbe la prima volta nella Quinta Repubblica per un Presidente in carica e una clamorosa ammissione di fallimento del suo quinquennio. Se invece si presenta, rischia di perdere le primarie della sinistra, forse addirittura al primo turno come Sarkozy. A quel punto sarebbe annientato, ridicolizzato agli occhi della Francia e del mondo».
L’uscita di scena di Juppé potrebbe aiutare Emmanuel Macron?
«Macron spera sicuramente nell’eliminazione di Juppé per poter recuperare una parte del suo elettorato che non appoggerà Fillon. C’è anche il dato sugli elettori di sinistra che sono andati a votare alle primarie del centrodestra per uccidere Sarkozy. Se veramente sono stati tra il 10 a 15% dei partecipanti, sono voti che potrebbero poi andare a Macron. Il suo è uno spazio limitato ma che esiste».
E il premier Valls si emanciperà da Hollande come Fillon da Sarkozy?
«Valls sta facendo di tutto per impedire a Hollande di ripresentarsi. Ma rispetto a Fillon, il premier dovrebbe candidarsi a caldo, mentre è ancora in carica e con una politica di governo che ha diviso la sinistra. Lui stesso ha detto per mesi che esistono due sinistre inconciliabili. Adesso si vede che ha cominciato a cambiare discorso, lanciando appelli all’unità. Ma è credibile? Questa è la vera domanda».
Ci possono essere nuovi outsider, altre sorprese?
«Sbaglia chi pensa che domenica prossima il candidato designato dal centrodestra sarà di sicuro il prossimo capo dello Stato. Le incognite sono ancora molte. Quando i francesi scopriranno il programma economico lacrime e sangue di Fillon forse cambieranno idea. Il successo popolare delle primarie dimostra che i francesi s’interessano alla politica e vogliono esprimersi. Nelle nostre democrazie qualsiasi sorpresa è ormai possibile».

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François Fillon. Tagli shock e liberismo, il thatcheriano amico di Putin sogna l’Eliseo
PARIGI Il risultato a sorpresa alle primarie François Fillon fa apparire nel paesaggio politico francese una destra “thatcheriana”, nuova e al tempo stesso antica. Liberista in economia, conservatrice su famiglia e società. L’ex primo ministro promette un programma lacrime e sangue per il Paese che nessun altro candidato a destra ha mai osato proporre: 110 miliardi di euro in tagli sulla spesa pubblica, oltre 500mila funzionari pubblici da mandare a casa, aumento dell’Iva per finanziare 40 miliardi di euro di sgravi alle imprese. Grazie a questa “terapia choc”, Fillon spera di “liberare l’economia francese” e far calare sotto al 7% il tasso di disoccupazione. Un programma di «straordinaria brutalità economica e sociale» commenta il suo avversario, Alain Juppé. Ma per Fillon l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici non è una novità. Già nel 2007, nominato come primo ministro da Nicolas Sarkozy, aveva dichiarato che la Francia era virtualmente uno «Stato fallito».
Rispetto alla retorica populista, Fillon è un pragmatico, convinto che gli elettori possano accettare un «linguaggio di verità». «Preferisco le parole che salvano a quelle che seducono» ripete Fillon, citando il suo maestro politico, Philippe Seguin, popolare dirigente della destra gollista morto nel 2010. Seguin era entrato in conflitto con Jacques Chirac proprio sulla mancanza di coraggio nel fare alcune riforme. Ed era stato uno dei pochi nel partito gollista a schierarsi pubblicamente contro il Trattato di Maastricht. Seguendo questo mentore, Fillon è un europeista prudente. Sogna un ritorno ai poteri degli Stati con “L’Europa delle nazioni”. Immagina una “Schengen della giustizia” che permetta di espellere qualsiasi straniero che commette un reato. Vuole invece rafforzare l’euro con un governo economico formato da presidenti o capi di governi degli Stati che aderiscono all’unione monetaria.
L’elezione di Fillon all’Eliseo provocherebbe un altro choc: sul posizionamento della Francia in politica estera. È dichiaratamente filo-russo, amico di Vladimir Putin da quando erano entrambi premier, vuole che vengano tolte le sanzioni economiche varate contro Mosca dopo l’annessione della Crimea. «Per arginare la progressione dell’Isis in Siria, Putin ha dato prova di un pragmatismo freddo ma efficace» diceva in un articolo Fillon qualche mese fa. «Putin ha salvato il regime alawita da un crollo probabile dandogli i mezzi di riconquistare i suoi territori». Dopo la vittoria di Trump, Fillon ha commentato: «Non temo un’alleanza Trump-Putin: me la auguro».
La differenza con Juppé è molto marcata anche su immigrazione e terrorismo. Ha pubblicato un libro dal titolo non equivoco: «Contro il totalitarismo islamico». Propone di stabilire delle quote per l’immigrazione attraverso un referendum consultativo. Sui temi sociali è tradizionalista, se non reazionario. È lo specchio di una Francia profonda, radicata nelle campagne. Cattolico, sposato da 36 anni e padre di 5 figli, Fillon è contro l’aborto (“per ragioni di fede”), anche se ha promesso di non cambiare la legge se sarà eletto. È contro il matrimonio gay: non vuole cancellare la riforma socialista ma limitare al massimo le possibilità di adozione per coppie omosessuali. Durante i comizi, per convincere i suoi sostenitori a smentire sondaggi e previsioni, ha usato spesso la frase di Papa Wojtyla: «“Non abbiate paura!»

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Alain Juppé. Il borghese europeista e moderato che vuole restituire al Paese «l’identità felice»
PARIGI Alain Juppé ama rappresentarsi come un esponente della vecchia destra di cultura girondina, ispirata al gruppo della Rivoluzione francese che venne represso dai giacobini di Robespierre. Il sindaco di Bordeaux, 71 anni, rappresenta una destra borghese, moderata, liberale nella visione della società. I girondini furono i primi a proporre il voto delle donne e così Juppé è aperto nell’idea dell’integrazione di altre culture, promette una “identità felice”, rifiuta la teoria nostalgica del “declinismo” che accompagna parte della destra francese, sempre nel rimpianto di una grandeur perduta. “I francesi sono pessimisti sul futuro del paese, ma fiduciosi sul loro avvenire” ripete spesso Juppé per spiegare la contraddizione nella mentalità del Paese.
Freddo, arrogante, pacato, “il bonzo di Bordeaux” non scalda le sale, ma neppure Fillon è un capopopolo. «Il migliore di noi» disse Jacques Chirac, battezzando Juppé suo erede. Come l’ex presidente ha maturato la convinzione – anche dopo gli scioperi che ha vissuto nel 1995 quando era premier – che le riforme nel paese debbano essere fatte ma senza traumi. «Un mandato per cambiare» è lo slogan dei suoi manifesti: data l’età promette che, se arrivasse all’Eliseo, non correrebbe per un bis e dunque sarebbe libero da pressioni per essere rieletto. La sua idea è fare “presto e bene”, governando nei primi cento giorni con una serie di “ordinanze”, l’equivalente dei nostri decreti-legge. Ma le sue riforme economiche sono all’insegna della prudenza: vuole abolire le 35 ore (come il suo concorrente) ma limitando l’orario settimanale a 39 ore, mentre Fillon prevede di allinearsi sulla media europea, fino a 48 ore. Vuole diminuire i funzionari pubblici, tra 200 e 250mila unità (meno della metà di quanto voglia fare Fillon). Su due punti è d’accordo con l’altro candidato: abolire la patrimoniale e alzare l’età pensionabile fino a 65 anni. Sul tema scottante dell’immigrazione, è promotore del rafforzamento delle frontiere esterne dell’Ue, ma non vuole sospendere Schengen. È convinto della necessità dell’Europa unita. «Immaginare che ogni Paese possa fare da sé è disastroso. Rischiamo di diventare Stati vassalli della Russia, della Cina e di altri ancora» aveva detto un mese fa in un’intervista a Repubblica.
È severo con Vladimir Putin, i suoi bombardamenti in Siria e l’appoggio al regime di Damasco. “Assad non è la soluzione, ma parte del problema” spiega Juppé. E intende mantenere l’alleanza atlantica senza rimetterla in discussione come vogliono invece fare Fillon o Marine Le Pen. Anche se da piccolo sognava di diventare Papa, Juppé è un convinto sostenitore della laicità. Propone un dialogo con i rappresentanti della comunità musulmana per sconfiggere l’integralismo e si oppone a una nuova legge contro i simboli religiosi come chiedeva Sarkozy e una parte della destra francese (non Fillon). «È sbagliato legiferare su tutto e adottare leggi che non potranno essere applicate» commenta Juppé che su temi come la famiglia e i diritti appare il più tollerante. Non ha mai criticato l’aborto e non vuole riscrivere la legge sul matrimonio delle coppie omosessuali come il suo rivale. Su Juppé pesa il ricordo della condanna nel 2004 per alcuni incarichi fittizi al partito quando dovette ritirarsi dalla politica. «Sulla giustizia, meglio avere un passato che un futuro» aveva detto a proposito di Sarkozy e delle tante inchieste in cui è coinvolto. Ma alla fine si ritrova davanti Fillon che invece non ha mai avuto problemi con la magistratura.

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Marine Le Pen. Più welfare e meno immigrati, così il Fn attrae elettori di tutti gli schieramenti
PARIGI Da quando ha preso la guida del Front National, nel 2011, Marine Le Pen ha profondamente cambiato il posizionamento politico del partito di suo padre, riuscendo ad allargare la sua base elettorale ben oltre il classico bacino di voti dell’estrema destra, fino a conquistare anche ex elettori di sinistra. Oltre a chiudere con le provocazioni e a ripulire (almeno in apparenza) l’immagine antisemita e xenofoba del Fn, la svolta nei contenuti più clamorosa è stata sui temi economici. Tanto il padre aveva un approccio liberista, ammiratore di Ronald Reagan, tanto Marine difende il ruolo dello Stato, la protezione sociale, il patriottismo economico che limita e tempera le regole del mercato e gli effetti della globalizzazione. Una nuova creatura politica ibrida. «Se non ci fosse un paragone fuorviante con il passato, si potrebbe dire che ha un programma nazional-socialista» commenta lo studioso Jean-Yves Camus.
Tra i suoi cavalli di battaglia c’è per esempio una tassa sulle importazioni per finanziare un sussidio di 200 euro ai francesi con reddito mensile inferiore a 1.500 euro, e anche il ritorno all’età pensionabile a 60 anni, promessa disattesa dall’attuale sinistra di governo. Rispetto ai due candidati alle primarie del centrodestra, Le Pen non vuole semplificare i licenziamenti per le imprese e neppure abolire la patrimoniale. Sull’immigrazione, il Fn propone un tetto massimo di 10mila ingressi all’anno, la sospensione della libera circolazione di Schengen, l’abolizione dello ius soli e la priorità nazionale per trovare lavoro ai disoccupati francesi. «La grande intuizione di Le Pen – continua Jean-Yves Camus – è superare la differenza tra destra e sinistra, sostituendola con quella tra nazionalisti e mondialisti». Le Pen ha ripreso come un mantra il termine “sovranismo”, presente sia nella destra di Fillon che nell’estrema sinistra, da Arnaud Montebourg e Jean-Luc Mélenchon. L’altra parola chiave è “identità”, per riassumere la difesa di presunte caratteristiche culturali e sociali nazionali rispetto all’immigrazione, in particolare quella musulmana. Su questo tema è vicina a Fillon ma non a Juppé che ha provato a superare il concetto, inventando lo slogan di “identità felice”, costruzione culturale e sociale in qualche modo aperta e in continuo aggiornamento. Le Pen resta una delle prime personalità politiche francesi ad aver denunciato la matrice “islamista” del terrorismo anche se ultimamente ha precisato che «l’Islam è compatibile con la République». Rispetto al passato, Marine Le Pen ha rotto con la destra ultra-cattolica, il fronte della Vandea, le radici cristiane. La presidente del Fn, divorziata con due figli, ha dato un’impostazione laica al partito, si è schierata per diritti come l’aborto, non ha partecipato alle proteste contro la legge sul matrimonio gay e non ha detto chiaramente se tenterà di abrogarla in caso di vittoria. È uno dei punti che dovrà chiarire nel presentare il suo programma.
Sulla politica estera Le Pen è per un ridimensionamento della potenza americana e un avvicinamento alla Russia di Putin. In questo è in sintonia con la posizione di Fillon. Ci potrebbe così essere un ballottaggio alle presidenziali tra due candidati amici di Putin. Ma su alcuni punti va molto più lontano: la presidente del Fn è favorevole all’uscita dalla Nato e alla creazione di «un’alleanza strategica militare Parigi-Berlino-Mosca». Sull’Europa ha cambiato discorso negli ultimi mesi. Vuole sempre organizzare un referendum sull’uscita dall’euro e dell’Ue ma solo dopo aver trattato con Bruxelles per un ritorno di sovranità nazionale su alcuni punti. Se i negoziati falliranno, e solo in questo caso, organizzerà la consultazione per un “Frexit”.