Corriere della Sera, 22 novembre 2016
Il governo come un casting. Il reality «The Apprentice» e la selezione dei ministri
NEW YORK «Solo io so chi siano i finalisti». Sì, Donald Trump ha detto, anzi ha twittato, proprio così: «I finalisti».
Subito dopo la vittoria dell’8 novembre, il presidente eletto era apparso incerto sul da farsi, impacciato. E adesso? Come si gestisce il passaggio di consegne alla Casa Bianca? «Lost in transition», perso nella transizione, titolava in quei giorni la Cnn. Ma il tweet sui «finalisti», datato 16 novembre, era il segnale che «The Donald» aveva trovato la formula per rispondere. Dunque, come si forma il governo degli Stati Uniti? Semplice: invitando a casa, uno dopo l’altro, i concorrenti in gara. Molti vengono eliminati, pochi restano in gioco.
Un momento: questo è il format di «The Apprentice», hanno notato diversi giornali come il britannico The Times. Con gli hotel, i casinò e i palazzi Trump ha fatto i soldi; con «The Apprentice» è diventato popolare nel Paese. È lo show che ha condotto dal 2004 al 2015, interpretando se stesso: un imprenditore che deve selezionare gli aspiranti «collaboratori».
Esigente in modo feroce, pronto a stroncare le speranze: «Sei licenziato». Negli anni, al suo fianco, come «giudice a latere», si sono alternati i figli: Ivanka, Donald Jr e da ultimo Eric. L’altro ieri sempre la Cnn ha chiesto a un cartoonist di immaginare la scena adattandola ai colloqui in corso per scegliere il segretario di Stato o il capo del Pentagono. Ne è venuto fuori un breve cartone animato: Trump, seduto dietro un lungo tavolo, urla «sei licenziato» al governatore del New Jersey, Chris Christie. La sentenza viene eseguita immediatamente dal genero di Trump, Jared Kushner, che molla uno schiaffone al malcapitato Christie. È uno scherzo, naturalmente. Anche se molti pensano che nella realtà non stia andando così diversamente.
Sulla Quinta Avenue l’opulento Natale di Manhattan, addobbi, vetrine e turisti felici, cerca di farsi largo tra le transenne, gli agenti dei servizi segreti, i poliziotti con i cani antibomba. Sono le otto e mezza di mattina e fa freddo. Gli operatori delle tv, appostati sul marciapiede ormai da dodici giorni, si preparano a un’altra giornata da trascorrere fissando l’ingresso della Trump Tower. Nell’atrio i reporter sbirciano le notizie sui computer, senza perdere di vista neanche per un momento le porte degli ascensori. Osservano questa curiosa processione di varia umanità: parlamentari, governatori, uomini d’affari, lobbisti, avvocati. A un certo punto la contabilità va in tilt. Diciamo la verità: dalla hall della Trump Tower non si capisce niente. Il presidente eletto non si è mai fermato in questi giorni. Non ha mai neanche abbozzato una conferenza stampa. Ogni tanto compare Kellyanne Conway, la direttrice della campagna elettorale vincente. Lascia cadere qualche frasetta generica e se ne va, mentre i giornalisti ripiombano, stoicamente, nell’oscurità informativa.
Ieri, all’ora di pranzo, The Donald ha fatto salire fino al sessantottesimo piano solo i boss dei grandi network, dalla Cbs a Fox alla Cnn. Una maniera per riprendere i contatti con quel mondo cui ha dedicato gli insulti migliori. Indubbiamente al tycoon piace sentirsi sempre il padrone di casa. Offrire caffè e pasticcini con un servizio di porcellana che da solo vale quanto il guardaroba invernale di molti dei suoi collaboratori. Trasmettere il senso di una leadership, di un privilegio naturale, accogliendo gli interlocutori in un resort di lusso come il Trump International Golf Club di Bedminster, nel New Jersey.
Il punto è che si avvicina il momento in cui Donald Trump dovrà uscire allo scoperto, svelando, per cominciare, il volto definitivo della squadra. L’ultima indiscrezione di ieri notte dava per probabile la nomina di Rudy Giuliani a direttore della National Intelligence, l’agenzia dei servizi segreti, al posto del dimissionario James Clapper.
Poi il presidente eletto sarà chiamato a governare nel concreto. Ieri notte in un video ha anticipato quale sarà il piano per i primi 100 giorni. Con una prima sorpresa: nessun accenno al muro con il Messico. Il 20 gennaio prenderà possesso dello Studio Ovale: un cubicolo francescano rispetto all’immensa tana dorata di Manhattan, dove Trump si sente, e non solo per l’arredamento Luigi XIV, un sovrano assoluto.