Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2016
Il debito in dollari degli emergenti è 3 volte quello dei subprime
Secondo la Banca dei Regolamenti (Bis), una sorta di bibbia in materia di finanza internazionale essendo la banca delle banche centrali, il debito in dollari dei Paesi emergenti è di quasi 3,5mila miliardi dollari. Neanche tanto, si dirà, considerando che nelle 8 sedute seguite all’elezione di Donald Trump, il mercato obbligazionario mondiale deve aver “bruciato” un valore vicino ai 2mila miliardi. Ma se 3,5 mila miliardi sembrano pochi, forse si dimentica che, a dar origine alla depressione più grande dopo il 1929, fu la carta costruita sui mutui subprime: che in tutto valeva (si fa per dire) mille miliardi. E quella carta era finita nei portafogli di istituzioni dalle spalle relativamente forti: negli Usa e soprattutto in Europa.
Invece, quei 3,5mila miliardi dei Paesi emergenti sono stati contratti da aziende non finanziarie e, in minima parte, pure da privati cittadini. Quel debito, stima la Bis, è cresciuto dal 60% del pil di quei Paesi nel 2006 al 110% a fine 2015. E ha seguitato a incrementarsi anche quest’anno. Buona parte dei debiti sono stati accesi tra il 2009 e il 2013 e basta guardare quanto è cresciuto il dollaro sulle varie valute emergenti per avere un’idea di quanto sia lievitato l’esborso sulla carta. Rispetto ai valori medi del 2010, la valuta americana ha guadagnato il 120% sul rublo russo, il 100% sul real brasiliano, il 130% sulla lira turca e circa il 50% sulla rupia indiana e indonesiana. Molto del debito viene dalla Cina. E qui i danni sembrano minori, se non fosse che una consistente fetta di finanziamenti è stata stipulata a partire dal 2014, quando lo yuan valeva il 13% più di oggi.
In ogni caso, il brusco rialzo del dollaro, associato al balzo dei rendimenti obbligazionari, è fortemente destabilizzante per le economie e le finanze non solo dei Paesi emergenti, ma anche di quelli sviluppati. E già sta innescando flussi di capitali in uscita verso gli Usa e una pericolosa rarefazione della liquidità in dollari sui mercati. Se tanto i mercati s’erano allarmati nel 2013 (con il presunto tapering della Fed), non si capisce perché mai debbano essere tranquilli oggi.