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 2016  novembre 19 Sabato calendario

I passaggi difficili del piano di UniCredit

Fase difficile per UniCredit, tra aumenti di capitale e dismissioni accelerate. «Dopo un 2015 di cauto ottimismo – dice a Plus24 Marco Mambelli, analista di Jci Capital Ltd – l’entrata in vigore a inizio 2016 del bail in ha evidenziato la fragilità del sistema bancario italiano che negli anni ha più volte rimandato il rafforzamento strutturale». Il titolo UniCredit ha scontato gli ultimi eventi e ha sottoperformato non solo rispetto ai peers europei, del 47% circa, ma anche all’indice italiano, del 12%. «In quanto banca sistemica – continua Mambelli – UniCredit è coinvolta nelle iniziative atte a sostenere le altre banche del Paese nelle operazioni di aumento di capitale e di gestione delle sofferenze (fondo Atlante). Inoltre, gli stress test hanno evidenziato la necessità di intervenire sia per migliorare il Cet1 sia la qualità dei propri asset, con un Texas ratio (il rapporto tra le sofferenze lorde e il patrimonio netto tangibile) di poco sotto il livello di guardia». Il nuovo ad Jean-Pierre Mustier ha già dichiarato tra le priorità l’ottimizzazione del capitale attraverso l’accelerazione nella cessione degli asset non-core. «Per far fronte alle esigenze di capitale di UniCredit, che a fine 2015 aveva un Cet1 ratio fully loaded di 10,4% contro una media europea al 12% – spiega Mambelli —, sarebbe necessario capitale aggiuntivo tra i 5 i 16 miliardi un aumento di capitale di circa nove miliardi, inclusivo delle cessioni. Su cui il management sta accelerando per diminuire la quantità di capitali che dovrà reperire sul mercato, su cui si saprà di più il 13 dicembre. La banca online Fineco, l’asset manager Pioneer e la banca polacca Pekao sono gli indiziati principali per una cessione almeno parziale, insieme ad asset minori in Ucraina, Turchia e Austria». Una cessione completa del 40% in Pekao, del 55% in Fineco e di Pioneer «varrebbe tra i 6,6 e i 7,8 miliardi – spiega Mambelli – con un impatto sul Cet1 tra i 172 e i 214 punti base». Ma queste dismissioni migliorano la banca? «Più che del bail in – risponde Massimo Gionso, consigliere delegato di Cfo Sim – temo una banca svuotata di valore: tale diventerebbe UniCredit senza i “gioielli di famiglia”. Non voglio fare terrorismo sull’obbligazionista o sul correntista UniCredit, che non perderà un euro, perché la banca sarà ripatrimonializzata in un modo o nell’altro, ma l’azione non la comprerei». 
La parziale cessione di Fineco con private placement «ha fruttato circa un miliardo – ricorda Gionso – credo che difficilmente UniCredit cederà la quota residua. La cessione di Pioneer vale 4 miliardi; Pekao, anche questa già in parte ceduta, ne vale in complesso 3. L’aumento di capitale potrebbe essere nell’ordine dei 12-13 miliardi: una cifra enorme». Una dimensione quasi pari al totale dei tre aumenti effettuati dal 2009 al 2012 (in tutto 14,4 miliardi) nonché «simile alla capitalizzazione attuale della banca, che è di 12,5 miliardi – precisa Fabio De Gaspari, responsabile asset management di Invest Banca —. Non solo per la diluizione da aumenti, ma dal 2009 a oggi il titolo è passato da 16 a 2 euro, in calo dell’80%, di cui la maggior parte negli ultimi sei mesi». Il contesto non aiuta: «Con l’elezione di Trump – conclude De Gaspari – tutti i titoli bancari europei sono balzati in avanti, mentre quelli italiani hanno perso quota. È in divenire l’aumento Mps che crea tensione sul debito e fa temere riflessi su altre banche. Il referendum crea ulteriori tensioni. Anche l’aver accelerato sulle cessioni per UniCredit non è stato sufficiente: c’è da tagliare i costi fissi che sono enormi».