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 2016  novembre 19 Sabato calendario

Per ora nessuna tecnologia consente di resuscitare

ROMA Per alcuni è un’illusione, per altri una scommessa. Per altri ancora è invece una speranza. La speranza che la scienza possa un giorno regalare un’altra chance, una nuova vita, resuscitando il corpo e la mente morti in un passato in cui non era possibile curarli. È quello che si chiama crioconservazione, la stessa a cui si è affidata la ragazzina inglese di 14 anni, morta prematuramente a causa di un cancro. Non bisogna confonderla però con l’ibernazione.
«L’ibernazione è un processo naturale che consente ad alcuni animali vivi di ridurre al minimo le funzioni vitali, come il battito cardiaco, la respirazione e il metabolismo, abbassando la propria temperatura corporea», spiega Matteo Cerri, ricercatore di Fisiologia all’Università di Bologna e uno dei massimi esperti in materia. Cerri è infatti un consulente dell’Agenzia spaziale europea (Esa), che lo ha incaricato di studiare l’ibernazione negli esseri umani, in previsione di viaggi interplanetari molto lunghi e rischiosi per gli astronauti. «Invece, quella a cui è stata sottoposta la ragazza di 14 anni si chiama crioconservazione, un processo in cui il corpo viene congelato subito dopo il decesso», aggiunge Cerri. Fare le dovute differenze è fondamentale. «Perché mentre un essere vivente può risvegliarsi dall’ibernazione, come fanno alcuni animali con meccanismi ancora poco chiari, ad oggi non esiste alcuna tecnologia che consenta di resuscitare un corpo congelato quando ormai era privo di vita», sottolinea l’esperto. Tuttavia, coloro che si affidano alla crioconservazione post mortem – ad oggi 337 persone in tutto il mondo e 2mila che hanno stipulato un contratto in previsione della loro morte, tra cui 8 italiani – sperano che in futuro si riesca a sviluppare una tecnologia in grado di ripristinare le funzioni corporee. E quindi di riportarli in vita e poi curare il male che le ha uccise. Si tratta certamente di una previsione un po’ troppo ottimistica. «Il problema è che un corpo congelato può subire danni irreparabili, specialmente nella delicata fase di scongelamento, e quindi, anche se riuscissimo nell’intento di rianimarlo, ignoriamo in quali condizioni potremmo risvegliare, anzi resuscitare, questa persona», dice Maurizio Genuardi, direttore dell’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica di Roma e del Policlinico Agostino Gemelli di Roma.
LA MORTE CEREBRALE
Alcuni ritengono che congelare il proprio corpo prima della morte cerebrale, oppure per evitare la morte a causa di un male incurabile, possa rappresentare la soluzione. Ma ad oggi non è legalmente possibile, oltre che tecnicamente dubbia.
Alcune aziende che offrono servizi di crioconservazione hanno tentato di ovviare al problema dello scongelamento finale, offrendo anche soluzioni più economiche e anche più fantasiose. «Si può scegliere di congelare interamente il proprio corpo – spiega Cerri – o solo il cervello nella speranza che in un futuro questo possa essere ricostruitosu un computer, resuscitando la persona solo virtualmente». Un servizio che costerebbe all’incirca 80mila dollari, ben poco rispetto ai 200mila dollari del servizio completo.
L’ibernazione invece in parte, può essere considerata già una realtà. «Oltre agli animali, il concetto dell’ibernazione viene già sfruttato in medicina», dice Cerri. «Pensiamo all’ipotermia terapeutica nei casi di attacco cardiaco o ictus: si abbassa la temperatura corporea dei pazienti per ridurre eventuali danni», aggiunge. Uno degli ostacoli più grandi negli esseri umani è che, quando si abbassa la temperatura, l’organismo si ribella e tenta di rialzarla, provocando così danni. Un ostacolo, questo, che Cerri e il suo team di ricerca sono riusciti a superare in un test condotto su un topo. «Siamo riusciti a simulare l’ibernazione ingannando farmacologicamente il cervello del ratto, inducendolo a credere che la temperatura non venisse abbassata, quando in realtà è stata fatta scendere a 10-15 gradi», riferisce Cerri. Ma la vera sorpresa, che potrebbe avere implicazioni importanti in futuro, è stata al risveglio. «Quando abbiamo risvegliato il ratto – dice l’esperto – abbiamo registrato un’attività fortissima dei neuroni e lo sviluppo di nuove sinapsi. Questo dinamismo potrebbe essere utilizzato nel trattamento di malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer». Non solo. L’ibernazione potrebbe anche essere sfruttata per trattare il cancro. «Se si riesce a rallentare il metabolismo del corpo di un essere umano automaticamente si rallenta anche quello del cancro e quindi si può rallentare la sua crescita», spiega Cerri. Una tecnologia che potrebbe regalarci tempo prezioso per vivere al meglio l’unica vita che abbiamo.