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 2016  novembre 20 Domenica calendario

Se la scuola cancella la scrittura in corsivo (e anche la personalità)

Scommetto che non avete mai scritto nulla, neppure un pro-memoria tipo «domani revisione auto» oppure «comperare carta igienica», in corsivo e in finlandese. Bene, ora che ho vinto la scommessa, ragioniamo un momento su una notizia. Questa: ai bambini finlandesi della scuola primaria non sarà più obbligatorio insegnare a scrivere in corsivo, ma soltanto in stampatello.
Ora, detto che gli under 10 finlandesi, come quelli di quasi tutto il resto del mondo, sono ormai abbondantemente «nativi digitali» e che imparano a cercare su Google ciò che loro serve (dov’è il negozio di giocattoli più vicino a casa o le date del prossimo turno della Veikkausliiga, la serie A di quelle parti, a esempio) prima che a scrivere, in corsivo e correttamente, «la mamma è bella», la domanda, retorica, è: non rischiamo, buttando via l’acqua sporca, di buttare via anche, per l’appunto, il bambino? Cioè, cancellando con decreto ministeriale la manualità, l’artigianalità dello scrivere, che si forma attraverso ore e ore di esercizio con le testoline reclinate sul banco e condito da tanti mózzichi alla matita, non uniformiamo, non appiattiamo anche la personalità del bambino? E la risposta, ovviamente, è «sì». Dovendo (volendo) scegliere tra il futuro da una parte e il passato e il presente dall’altra, l’Istituto nazionale per l’educazione di Helsinki ha optato per il futuro. D’accordo, il futuro è già qui, intrappolato nella Rete, e non può più scappare, l’abbiamo catturato come il pesciolino Nemo (che è orfano di madre, detto per inciso). D’accordo, stiamo parlando della Finlandia, Paese senza mammoni dove la vocazione all’indipendenza, all’emancipazione, all’autonomia dai legami famigliari in età quasi ancora tenera è consuetudine.
Ma il punto sta proprio qui. Se proprio lassù in Scandinavia, vicino all’ultima Thule boreale, dove il sole del progresso sociale e del welfare non tramonta mai, si annulla con un tratto di penna, marchiandola come errore, la formazione individuale fatta di «elle» svolazzanti e di «a» striminzite, allora la prima età che fa rima con creatività e libertà (pur rispettosa dei canoni codificati) viene soffocata in culla con il cuscino del conformismo, uniformando i caratteri della persona insieme a quelli del block capitals, dello stampatello che diventa sostrato della lingua, dittatoriale vincolo che esilia nella dimensione domestica la sintesi dell’appunto, dell’improvvisa magia che comunica.
«Vogliamo che i bambini imparino la scrittura liquida, cioè quella delle tastiere dei computer e dei touch screens», spiegò l’anno scorso Minna Harmanen, responsabile delle linee guida del ministero della Pubblica istruzione. Senza dubbio la impareranno, anzi, già la conoscono a menadito. Ma consentiteci di fare il tifo per i maestri che lassù (e nel resto del mondo) sceglieranno una pacata e pacifica forma di disobbedienza civile, accogliendo con sorrisi materni o paterni gli sgorbi dei loro piccoli allievi. Da sempre indispensabili per diventare grandi.