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 2016  novembre 21 Lunedì calendario

«Più vanitoso che grasso: dopo la tv, il cinema». Intervista a Edoardo Raspelli

Tra food blogger rampanti, starlette di ogni genere, conduttori patinati da rotocalco, hipster barbuti col pallino del gusto, sembrava non esserci più spazio per i critici gastronomici tradizionali. Sembrava soltanto. Edoardo Raspelli, il decano degli Anton Ego (il critico culinario del film Ratatouille) italiani, non solo è vivo e vegeto e in buona salute, ma ha sfoderato un colpaccio mica da poco: alle sue proverbiali rubriche della carta stampata, ora affiancherà la partecipazione a un film, nell’inedito ruolo di attore protagonista. E saluta l’anno che finisce con successi d’ascolto sempre maggiori del suo Melaverde, il popolare contenitore domenicale di Mediaset, dedicato in larga parte all’agroalimentare. 
Milanese, 67 anni compiuti a giugno, Raspelli scrive di ristoranti dal 1975, senza guardare in faccia a nessuno: il primo in Italia a dare i “voti” a chef e cuochi, se necessario strigliandoli ben bene. All’attività giornalistica tradizionale, ha dapprima accostato quella televisiva. E ora, quella cinematografica, anche se in un cinema particolarissimo. 
Questa però, Raspelli, non è la sua prima partecipazione a un film. In molti ricordano ancora quella pellicola con Piero Chiambretti... 
«Sì, Ogni lasciato è perso. Piero era il protagonista: un conduttore televisivo particolarmente sfigato, mollato malamente da ogni donna che incontrava. Io ero il maestro di sala in un famoso ristorante torinese, dove il malcapitato riceve l’ennesimo voltafaccia, e io avevo il coraggio di chiedergli se a provocare il suo scoramento fosse il troppo peperoncino nei piatti...». 
E poi questo film ambientato tra caseifici e risaie... 
«No. Prima c’è stato un mio cameo in Asfalto rosso, il film di denuncia sul bere responsabile. Un pilota, mettendosi ubriaco al volante, provoca una strage. Preso dal rimorso, si reinventa produttore di vino, facendo attiva campagna a favore della sicurezza stradale e del bere “giusto”. Io in quel film ho ricoperto il ruolo del suo enologo». 
E ora un film, in cui, se non abbiamo capito male, lei interpreta se stesso... 
«Più o meno. Io sono Goffredo della Rosa, giornalista specializzato in agroalimentare, direttore della rivista Cybus e infaticabile propagandista delle ghiottonerie del Tricolore. A un certo punto, il mio giornale finisce nelle mire di un avido magnate sudamericano, che vuole renderlo asservito al suo commercio di finti prodotti made in Italy. Qualcosa di esasperato, dunque, ma profondamente attuale. Per controllarmi, prova a mettermi alle calcagna un’intraprendente giornalista, interpretata da Sarah Maestri, quella di Notte prima degli esami». 
Il film, che si chiama Riso amore e fantasia, è stato presentato a Milano la scorsa settimana. Qual è il tema che focalizza?

«Il tema principale messo in luce da Ettore Pasculli, che l’ha scritto e diretto, è quello della ricchezza culturale e gastronomica del nostro Paese, messa a rischio da politiche sempre più aggressive da parte dei furbi e dei truffatori che ne hanno fiutato il business. Sarà distribuito in un centinaio di sale in tutta Italia, e ci aspettiamo che gli spettatori possano rendersi conto di come e perché il nostro Paese è così invidiato e anche, purtroppo, mortificato». 
Lei con lo schermo, sia grande che piccolo, ha un feeling naturale. Il suo Melaverde è in onda da 19 anni ormai. L’Auditel non fa un po’ i capricci coi programmi non esattamente nuovissimi? 
«Per niente. Anzi si migliora sempre di più. Gli ultimi risultati sono ancora più incoraggianti. L’Auditel ci ha rivelato che battiamo il nostro concorrente Rai Linea Verde di qualche punto: noi 18%, loro 14%». 
Una vittoria schiacciante? 
«Beh, il dato si riferisce alla fascia di orario in cui i due programmi, che hanno durate e tempistiche diverse, vanno a sovrapporsi. Durante la sovrapposizione, nella fascia di ascoltatori che interessa maggiormente la tv commerciale, cioè gli spettatori dai 15 ai 64 anni, noi nelle ultime settimane abbiamo fatto il 18%. Loro il 14%. Parliamo, ripeto, del momento in cui uno spettatore trova su un canale l’uno, e contemporaneamente può pigiare il telecomando e trovarsi sull’altro. E ridendo e scherzando, siamo ormai arrivati alla puntata numero 550». 
L’agroalimentare, e soprattutto la gastronomia, in questo momento va molto in televisione. Cuochi, show culinari e tutto il resto sembrano attirare moltissimo pubblico... 
«In parte i dati di ascolto di queste trasmissioni sono montati e gonfiati più dai giornalisti che da altro. Tuttavia, non si può non apprezzare. Grazie a questi programmi, finalmente anche in Italia c’è una vera valorizzazione del mestiere dello chef anche presso il grande pubblico. Roba che in Francia usa da anni, mentre invece da noi... Quando ho cominciato io, quarant’anni fa, lo chef era un oscuro “operaio” di cucina, non usciva mai, nessuno quasi aveva idea di come lavorasse. Oggi abbiamo Cracco, Oldani, Cannavacciuolo. Sanno comunicare». 
È grande la differenza col mondo giornalistico in cui è cresciuto? 
«Oggi i mezzi sono completamente cambiati. Un tempo la cultura di massa non passava così tanto dalla televisione. Oggi, talvolta, sui giornali si leggono autentiche bischerate, scritte anche da persone famose. Le marchette capitano molto più spesso di quanto non si vorrebbe vedere. Vista la crisi della carta stampata, spesso i giornalisti cambiano mestiere, diventano addirittura organizzatori di eventi, magari con gli stessi ristoratori che dovrebbero essere oggetto della loro critica». 
Lei sulle sue rubriche giornalistiche, continua ad attribuire ai ristoranti anche voti negativi, se è il caso. Come mai non si usa più? 
«E chi lo sa. Me lo chiedo talvolta: ma che coraggio ci vuole, a criticare un ristorante? Se non si è liberi almeno in questo... Se un cuoco a mio parere cazzeggia con una cucina velleitaria, non vedo perché non dovrei illustrare al lettore il mio punto di vista. Alla fine noi scriviamo per i lettori». 
A quando lo sbarco su internet, che sembra il mondo della libertà quasi illimitata? A quando un bel Raspelli-blog? 
«A mai, temo. Non so amministrare casa mia, figurarsi un sito. Io sono un giornalista, in un certo senso un artigiano in campo internet. Avevo un sito, ma il sito va aggiornato, ci vuole del tempo che non sempre ho. Mi dedico semmai a Facebook». 
Non credevamo le piacesse tanto... 
«Invece sì. Credo che il futuro sia quello. Figurarsi, c’è gente che mi rimprovera di stare troppo attaccato al telefono per aggiornare Facebook. Ma è così comodo! È tutto già pronto, puoi dire quel che vuoi senza smanettare troppo, raggiungi tantissime persone. Meglio di così... Tempo fa ho postato il racconto di una fiaba della mia infanzia, ha avuto 2500 visualizzazioni. Il futuro è qui». 
E il suo futuro di giornalista? Alcune malelingue sostengono che sia in ascesa come showman ma in declino come giornalista... 
«Se per loro avere rubriche su uno dei maggiori quotidiani d’Italia e su un inserto distribuito in tre regioni è così poco, facciano pure, si accomodino. Se poi non piacciono i giudizi che rilascio su certi ristoranti o su certe guide gastronomiche, me ne farò una ragione. E spieghino come fanno certe pubblicazioni a provare tutti gli anni oltre tremila ristoranti con solo una decina di persone in organico. Non mi sogno minimamente di smettere di scrivere, anzi. Non mi cullo sugli allori televisivi. È vero, sono più vanitoso che grasso. Quindi amo la popolarità tv. Ma io sono in tv anzitutto perché ho fatto, e faccio, il giornalista. Non il contrario».