Libero, 21 novembre 2016
«Sono la zarina della pallavolo. Ivan il campione l’ho salvato io»
Suonano stranieri entrambi, i loro nomi. Ma l’accento non mente. Ivan Zaytsev, lo zar del volley azzurro, trascinatore della Nazionale all’argento Olimpico di Rio 2016, paga il dazio, non solo nel nome, dell’essere figlio d’arte, oltre che di atleti russi: la mamma, Irina era nuotatrice, il padre, Vjaceslav famoso pallavolista. Cosa che fa di Ivan un condannato... al volley.
Anche dalla moglie, Ashling Cara Sirocchi, tutto ti aspetti fuorché l’accento di Trastevere. «Io nasco romana. A mia madre irlandese devo ’sto nome così complicato. Ci ho combattuto tutta la vita. Come anche contro il fattocheseunaèalta188cm,è bionda e ha gli occhi azzurri, per risultare simpatica, almeno, non deve essere pure intelligente».
Intelligenza pratica la sua che ne fa, ora ufficialmente, la manager del marito. Specie adesso che lui è il pallavolista più pagato d’Italia: «È il Totti del volley ma guadagna un decimo di lui», protesta. «Magari arrivassi a un decimo di Totti», precisa lo schiacciatore dalla battuta più veloce della storia delle Olimpiadi: 127 km/h a Rio 2016. Abbastanza per farne anche un personaggio tv: è uno dei “mental coach” del nuovo programma di Simona Ventura, Selfie-Le cose cambiano, da oggi su Canale 5.
Ma nella vita è Ashling la mental coach di Ivan, come la prima voce narrante di questo incontro. Lui è il controcanto, di poche battute, ma decisive come le sue schiacciate.
Ashling, difficile vederla e pensarla dietro le quinte. «Ci combatto da tutta la vita su come mi vedono gli altri. Da ragazzina cercavo in tutti i modi di imbruttirmi: mi tingevo i capelli di nero, mi mettevo piercing ovunque. Volevo essere invisibile. Non potevo? Allora facevo almeno la brutta dentro. Non tornavo a casa di notte. Mi facevo cacciare da scuola. A 18 anni me ne sono andata di casa. Ma per pagarmi l’affitto e gli studi, Scienze Politiche, per due anni ho fatto la modella. Mi aveva notato Guillermo Mariotto, direttore creativo di Gattinoni, mentre facevo casino al ristorante. Fu colpito dal corto circuito tra il mio aspetto esteriore e il mio romanesco da osteria. La settimana dopo, alle sfilate di Alta Moda a Roma, mi affidò l’abito di chiusura della collezione. Io che non avevo mai sfilato in vita mia. Ma in quel mondo son durata poco: sono zero competitiva».
E finì a lavorare all’Onu. Che salto!
«Mia madre ha lavorato per 40 anni alla segreteria organizzativa, a Roma, del World Food Program. Lì andavo nel doposcuola, lì l’aspettavo facendo i compiti. Mi sono iscritta a Scienze Politiche perché lì volevo finire. E lì mi sono fatta accettare perché ero rapida nel risolvere i problemi. Ci sono rimasta dal 2009 al 2013. E mi sono rasserenata».
Il 2013 è l’anno delle nozze. Ha lasciato tutto per fare la signora Zaytsev?
«No...per via del suo cambio di squadra, ci siamo trasferiti nelle Marche. Ma con Ivan è stato da subito così. Non abbiamo mai avuto dubbi sul da farsi: stare insieme».
Chi ha puntato l’altro?
«Io. Ma non è che l’ho visto e ho pensato: “So che quello sarà l’uomo della mia vita”. L’ho visto e ho pensato solo: “Ammazza, che bel culo!”».
E dov’è che notò quei glutei sublimi?
«A Ostia, tra la fine del 2008 e inizio 2009. Per me era un periodo assurdo. Nel 2007 era morto mio padre, a 60 anni, preso sotto da un macchina mentre attraversava la strada. Invece Ivan che si allenava a Ostia, con la Nazionale di beach volley, era in crisi con la pallavolo e voleva mollar tutto».
Vi siete salvati a vicenda?
«Io ho salvato lui. Mi ero già salvata da sola. Ma ho riconosciuto in lui gli stessi sintomi: lottava con se stesso e contro il suo destino».
Ivan, l’incontro con Ashling le ha cambiato la vita?
«Assolutamente sì. La pressione che sentivo, sui campi da volley, 365 giorni all’anno da sempre, mi aveva portato ad un passo dal lasciare l’unico mondo che in realtà conoscevo. Fino a quel momento me l’ero vissuta, la mia ribellione, facendo lo scapestrato, il ribelle. Certo è che quando ci siamo incontrati eravamo due belli incasinati. Eravamo due anime in cerca di ascolto. I primi dieci giorni, invece di finire a letto come sarebbe normale, passavamo la notte a parlare. Ci siamo scavati dentro, e uno ha messo radici nell’altro».
Ashling cosa la colpiva dei fantasmi di Ivan?
«Era condannato a essere il più forte. Fino a quel momento aveva anche giocato nello stesso ruolo del padre. Un giorno mi disse: “Mollo tutto”. Va bene, ok, fallo. Lo stupì il fatto che per me sarebbe stato lo stesso stare con Ivan e non con Zaytsev, il campione. Accettavo la sua debolezza».
Ivan, come ha ritrovato il piacere di giocare? «Costruendomi anche un privato importante. Ashling mi ha tranquillizzato. Anche perché so che ci sono un mucchio di preoccupazioni a cui pensa lei, che riesce a risolvere tutto più velocementedime.Apocoapoco,con più serenità, mi sono cominciato a togliere le mie soddisfazioni. Infine l’argento di Rio, ad agosto, è stato la ciliegina sulla torta. Certo, su questa torta però manca qualche oro. Ho ancora fame».
Il mondo del volley sta sfruttando bene l’onda lunga di Rio?
Ashling e Ivan concordano: «Sembra che abbia paura a uscire dal proprio guscio. Siamo stati noi giocatori, attraverso i social, a raccontarci durante i Giochi di Rio a promuovere il volley e la Nazionale. Ma è un mondo davvero poco conosciuto. Sulla carta non esiste il professionismo nel volley ma noi non abbiamo tempo per altro: siamo in campo tre volte a settimana tra Campionato e Champions. Allenamenti mattina e pomeriggio. Altro che il calcio. Noi guadagniamo mille volte meno ma lavoriamo mille volte di più di un calciatore».
Per questo Ashling lei ha deciso di fare da manager a Ivan?
«È venuto naturale nel momento in cui sono aumentate le richieste e le pressioni. In fondo era quello che già facevo da tempo, sono la persona che lo conosce meglio, che conosce sempre i suoi tempi, le sue esigenze gli ho fatto anche da mental coach, posso consigliarlo anche perché conosco gli aspetti tecnici del suo mestiere...».
Ivan: «Nel tempo in cui io metto appena a fuoco un problema lei ne ha già risolti tre. Vorrei prendermi più responsabilità, ma lei è imbattibile».
Mai sofferto Ashling, a vivere all’ombra del marito?
«Per nulla, anche perché lui ha sempre riconosciuto, anche pubblicamente, il mio apporto. Non sono nemmeno gelosa. Lui lo è di me, invece. Dice che se un altro uomo si accorge che dietro il mio aspetto c’è anche della materia grigia, perde la testa».
Il ruolo di Sasha, il vostro bambino di due anni, nel vostro equilibrio qual è?
«Il ruolo della responsabilità. Ivan, che se ha un problema di salute, piuttosto s’imbottisce di Toradol e anche in allenamento dà sempre il 120%, ecco, adesso ha capito che se qualche volta si risparmia un po’, è meglio. Ora che c’è anche un bambino da crescere rischiare di farsi male sul serio perché non ci si ferma mai, rischiare anche di restare a casa, guadagnare meno, non si fa».
Ivan, su cosa non è d’accordo?
«Io do ancora e sempre il 120%. Però certo qualche cazzata in meno la faccio. Quasi abolite le sigarette, vorrei avere il tempo di fare il cretino giocando alla playstation o pestando sull’acceleratore, ma non ho il tempo, né si può...».
Il sogno impossibile ha quattroruote?
«Una Ferrari, ma siccome è impossibile mi sono tolto lo sfizio di un Porsche Carrera S».
Sarà impossibile ormai è certo, giocare le Olimpiadi a Roma nel 2024. Delusi?
Ashling: «Altroché. Sarebbe stata una grande occasione. La cosa che mi ha dato più fastidio è stata la motivazione del no. Perché a Roma ci sono i palazzinari. Ma quelli adesso si sentono persino più ringalluzziti! Ne riconosci un potere di veto sulla crescita della città. Li devi combattere, mica accreditare».
Ivan: «Io non ho tempo di seguire le mie passioni, figuriamoci la politica. Ma questo no mi è sembrato solo un non voler risolvere i problemi».
Ashling lei invece segue la politica...
«Sono una donna di sinistra in cerca di qualcuno che rappresenti le mie aspettative però. E stufa che per il mondo ci piglino per il culo. Non solo nello sport».