Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 19 Sabato calendario

Derby di Cina. Pallone, tifo e business tra Milano e Pechino

PECHINO O mia bela dragoncina: ma cosa avranno mai da spartire Milano e Pechino oltre alla nebbia e all’inquinamento che qui in Cina, ci mancherebbe, è “enne” volte più grande? Sì, le vie del derby milanese non sono più infinite e l’ultima fermata di Inter e Milan è proprio qui: sempre che in casa Fininvest i conti tornino davvero secondo programma, e il Biscione possa finalmente incassare il regalone di Santa Lucia, cioè i 420 milioni che la cordata non ancora completamente annunciata deve versare per appiccicare l’etichetta cinese sulle maglie rossonere. Non che Pechino in occasione della partitissima si sia apparecchiata per chi sa quali follie: il fuso, del resto, non aiuta, e bisogna avere una fede davvero fuori ordinanza per mettersi davanti a CCTV5 fuori orario, alle 3.45 del mattino di lunedì. Perfino l’Inter Club di Dawanglu, una delle rarissime ridotte del tifo nerazzurro in città, a quell’ora avrà abbassato la saracinesca: festeggerà, beato ottimismo, lunedì sera.
Ma in fondo non è quella la mobilitazione che conta. Siamo o non siamo nella patria di WeChat e Baidu, della vita online che in Cina scorre molto più intensa che nei nostri Facebook e Twitter? E allora sul web il derby l’ha già vinto la squadra di Montella: 930mila fan contro gli 844mila di Icardi & compagni. Messi insieme, fanno più di tutti gli abitanti di Milano. E sono anche questi numeri giganteschi, sullo sfondo dei 300 milioni di cinesi tifosi del calcio, ad avere attirato sul pallone l’attenzione di imprenditori come Zhang Jindong, il 53enne fondatore di Suning che per 270 milioni di euro s’è preso il 70 per cento dell’Inter, e Li Yonghong, il capo della cordata che per 740 milioni, compresi i 220 di debiti, al closing del 13 dicembre ha promesso a Silvio Berlusconi di togliergli il peso della creatura accudita per 30 anni.
Perché poi, tifo o non tifo, parliamo di affari. Che qui si possono fare con il merchandising, certo, ma anche e soprattutto con il nascente mercato delle scuole, supportato nientedimeno che dal tifoso numero uno, il presidente Xi Jinping, che nel suo “Piano per la riforma e lo sviluppo del calcio cinese” ha disposto entro il 2020 la creazione di 20mila nuove accademie per allevare 30 milioni di baby calciatori e portare a 50 milioni il totale dei cinesi praticanti.
Poi, certo, c’è la caccia al consenso. Verso il basso, cioè verso il pubblico: «Mai più senza un apparecchio Suning!», è stato il grido di battaglia sul web tra i tifosi dell’Inter dopo l’acquisto cinese. Ma soprattutto verso l’alto: non è un segreto per nessuno che Mister Suning sia vicino al presidente Xi. E che un altro grande imprenditore suo amico, Wang Janlin di Wanda, si sia preso il 20 per cento dell’Atletico Madrid sempre per tenere alta la bandiera. E poi la Rastar di Chen Yansheng che ha comprato l’Espanyol, la Fosun di Guo Guangchang che si è pappata i Wolverhampton Wanderers. Tutti superbig, tutti gli uomini del presidente (Xi). E un gioiello come il Milan finisce ora nelle mani di Mister Li chi-era-costui?
Forse non è solo un caso, dunque, che i tempi annunciati per il closing potrebbero slittare ancora. E per tre ragioni: tante quante le previsioni di legge. Secondo il comunicato della Sino- Europe Sports Investment la firma dovrebbe tenersi «in coincidenza con l’assemblea degli azionisti dell’AC Milan il 13 dicembre». Ma prima che i milioni di yuan lascino la Cina per Milano occorrono, come in ogni «investimento diretto all’estero», tre autorizzazioni di tre organizzazioni diverse. La prima è quella della potentissima National Development and Reform Commission (Ndrc): 20 giorni. Poi tocca al Mofcom, ovvero il ministero del Commercio: altri 20 giorni. Più breve la trafila con chi sgancia finalmente i soldoni: State Administration of Foreign Exchange (Safe). Peccato che al momento, quantomeno secondo le ricostruzioni che si inseguono qui, saremmo ancora all’esame della prima casella.
Domanda: si tratta soltanto di uno slittamento o cos’altro? E che si fa con le banche d’affari già schierate per amministrare il business? Alla vigilia del primo match sino-ambrosiano tornerà mica l’incubo-flop come ai tempi di Mister Bee? O mia bela dragoncina: le vie del derby saranno anche finite ma la pazienza di Berlusconi, e sì che lo sappiamo bene, no.